Wednesday, November 25, 2009

La controriforma Mugnai


L'Italia non è un paese per liberalizzatori, né per giovani. Più agguerrite che mai, le varie lobby che negli anni scorsi hanno visto intaccati i loro interessi dalle liberalizzazioni dei decreti Bersani stanno dettando la restaurazione. Ne è un esempio eclatante la riforma della professione di avvocato, appena approvata dalla commissione Giustizia del Senato. Cancella i pochi provvedimenti innovativi dalla legge 248 del 2006 e ribadisce una impostazione assolutamente corporativa della gestione della professione di avvocato.

La breve stagione delle “lenzuolate” di Pier Luigi Bersani è morta e sepolta. Più agguerrite che mai, le varie lobby che hanno visto intaccati i loro interessi stanno dettando la restaurazione. La riforma della professione di avvocato, approvata la settimana scorsa dalla commissione Giustizia del Senato, ne è un esempio eclatante. Cancella i pochi provvedimenti innovativi dalla legge 248 del 2006 e ribadisce una impostazione assolutamente corporativa della gestione della professione di avvocato. Non è un paese per liberalizzatori, né per giovani, che trarrebbero vantaggio da una regolamentazione meno corporativa dell’attività forense.

LA RESTAURAZIONE

Il mercato dell’attività forense italiano non è certo un far-west senza regole. La tavola sotto riporta l’indice di regolamentazione della professione di avvocato per i paesi Ocse. Nel 2008 l’Italia si colloca al ventiseiesimo posto su ventisette paesi per quel che riguarda la regolamentazione complessiva: solo la Turchiaha un livello superiore a quello italiano. Siamo ai massimi livelli per la regolamentazione dell’accesso alla professione, mentre andiamo un po’ meglio per la condotta - quello che un avvocato può e non può fare in termini di pratiche concorrenziali -, grazie alla legge 248 del 2006 con una serie di provvedimenti per “il rilancio economico e sociale”. Tra le altre cose, la legge ha abolito le tariffe minime, il divieto di tariffe contingenti al risultato, quello di pubblicità, quello di fornire i servizi da parte di società di persone. Tariffe minime e restrizioni sui contratti stipulabili sono classiche misure di restrizione alla concorrenza. La possibilità di fornire servizi da parte di società di persone dovrebbe contribuire al nascere di forme organizzative più moderne e produttive. La legge non modificava la disciplina di accesso alla professione. Tuttavia, la scelta di liberalizzare prima la condotta e poi l’accesso è comune a molti paesi che hanno intrapreso il processo di liberalizzazione dei servizi professionali. Lasciava ben sperare che il provvedimento fosse il primo di un percorso più ampio.
Il disegno di legge approvato in commissione Senato spegne ogni illusione: dopo un passo avanti, due indietro.

a) In termini di restrizioni alla condotta, vengono reintrodotte le tariffe minime, “inderogabili e vincolanti”. Lo stesso non vale però per le massime: “È consentito che venga concordato tra avvocato e cliente un compenso ulteriore rispetto a quello tariffario”. Sono vietati accordi fra cliente e avvocato che prevedano il pagamento di una parcella solo nel caso che la causa sia vinta (contingency fees). La pubblicità, seppur non vietata, viene fortemente regolamentata: “È consentito all'avvocato dare informazioni sul modo di esercizio della professione, purché in maniera veritiera, non elogiativa, non ingannevole e non comparativa”.
b) Quanto all’accesso all’attività forense, viene ampliata la riserva di attività degli avvocati nel campo della consulenza legale e nelle procedure arbitrali. L’esame di
abilitazione diviene più oneroso, così come le condizioni di praticantato, senza riconoscere ai praticanti nessun diritto di compenso. Si ribadisce il divieto di esercitare l’attività organizzandosi in società di capitali: la paura della concorrenza da parte di forme organizzative più complesse e possibilmente più efficienti accomuna tassisti e avvocati. Unica innovazione, si introduce la società interdisciplinare: si permette a professionisti di più categorie – avvocati, commercialisti e così via – di ripartire tra loro i costi fissi delle strutture (come lo studio) e di sfruttare le sinergie derivanti dalla collaborazione reciproca.
L’Associazione nazionale forense presiede e supervisiona praticamente ogni aspetto della professione. Alla prossima rilevazione dell’Ocse supereremo sicuramente la
Turchia e raggiungeremo la testa della classifica. Un primato di cui andare poco fieri, a meno di essere titolare di un avviato studio legale o, in alternativa, figli di titolare.

IL PROBLEMA DELL’ECCESSO DI AVVOCATI

Basta leggere un romanzo di Gianrico Carofiglio o di Diego Da Silva per comprendere la condizione di sottoccupazione di molti giovani avvocati italiani. Ciò deriva da a) un eccesso di offerta di avvocati, a indicazione del fatto che le barriere amministrative sono uno strumento costoso e inefficiente per limitare l’entrata; b) vincoli alla condotta che limitano le possibilità di crescita professionale dei giovani avvocati. La strada intrapresa dalla legge del 2006 era quella di deregolamentare le condotte, abolendo arcaiche restrizioni alla concorrenza che rendono difficile per i giovani avvocati farsi largo nel mercato forense. La concorrenzaavrebbe assicurato un’allocazione efficiente delle risorse. L’impostazione del disegno di legge va esattamente nella direzione opposta, reintroducendo le restrizioni alla condotta, in vista di probabili ulteriori vincoli all’entrata. Il problema dei troppi avvocati si risolve proteggendo dalla concorrenza i professionisti avviati e riaffermando la dualità di questo mercato del lavoro.
Per capire a chi giova una riforma di questo tipo basta vedere chi l’ha promosso a pieni voti: il presidente del Consiglio nazionale forense, secondo il quale “il lavoro della commissione Giustizia è stato efficace” e il presidente dell’organismo unitario dell’avvocatura italiana, secondo il quale “la commissione Giustizia del Senato ha avuto coraggio, smentendo l’Antitrust che ha contrastato questa riforma”, e “un ulteriore passo è il numero programmato dall’università alla professione” – e chi l’ha criticata – l’Unione giovani avvocati italiani, secondo cui è “stata approvata una controriforma ma contro i cittadini”.

COSA CI DOBBIAMO ASPETTARE?

La strada che si sta percorrendo per riformare le professioni non promette nulla di buono. Stupisce l’appoggio al disegno di legge da parte dei senatori del Pd, il cui segretario aveva seguito tutt’altra direzione quando aveva responsabilità di governo: impossibile resistere al richiamo della corporazione? Le modifiche marginali proposte in commissione Giustizia del Senato non sono sufficienti. Il senatore Carofiglio, membro della commissione, scrive bei romanzi con protagonista Guido Guerrieri, un avvocato idealista e squattrinato che difende i poveri e i deboli. Questa riforma non aiuterà né avvocati come lui né i loro assistiti, né, in generale, i cittadini. Serve un’inversione netta di tendenza. Altrimenti, meglio lasciare le cose come stanno e tenersi strette le lenzuolate di tre anni fa. Ma sembrano ormai cento.

Tratto dalla voce.info del 22.11.2009