Friday, September 26, 2008

Thursday, September 25, 2008

Devo correre a Washington

Non va al Letterman Show: "Devo correre a Washington". Ma viene beccato a farsi intervistare altrove.

Monday, September 22, 2008

Il Regolamento Urbanistico. La posizione del PD follonichese

Il regolamento urbanistico, nel metodo
Partecipazione e Trasparenza, sono questi pilastri di ordine etico-politico che hanno guidato la maggioranza nella costruzione del Regolamento Urbanistico. Sono stati coinvolti nella formulazione dell’atto associazioni ed enti, ma anche singoli cittadini, convinti che ognuno poteva contribuire ad arricchire le scelte. Il lavoro si è articolato in momenti di ascolto, di confronto ed infine di formulazione delle proposte. Anche il lavoro della VI Commissione Consiliare è iniziato quando ancora non era sul tavolo neppure una bozza di delibera, quindi favorendo il più possibile la discussione e il confronto, anche con le minoranze. Questo lo sa bene il consigliere Costagli che ieri ha affermato il contrario. Chiaramente la maggioranza, pure in un processo aperto e partecipato, ha anche l’onere di assumere delle scelte, nel quadro del Piano Strutturale, e questo è esattamente ciò che abbiamo fatto.

Il regolamento urbanistico, nel merito
Il risultato finale è stato un Regolamento Urbanistico che dà risposte concrete alla voglia di futuro dei giovani e delle famiglie che vivono questa comunità, parlando di una crescita che non si misura solo con i metri cubi di cemento armato. In questo modello di sviluppo, ormai arcaico e perdente, ci crede la destra.
Nel regolamento urbanistico ci sono risposte strategiche per la mobilità e le infrastrutture: si pensi solo al sistema parcheggi che doterà Follonica di migliaia di posti auto oggi decisamente carenti; alla rete di piste ciclabili previste per dare concretezza ad una idea di mobilità “sostenibile” che punta alla riduzione dei consumi energetici, alla sicurezza, alla riduzione dei fenomeni di congestione della città; alla arteria che collegherà la zona di Salciaina con il bivio Rondelli alleggerendo potentemente il traffico sulla direttrice via Massetana-Via Roma. Risposte strategiche per la nautica, potenziando gli spazi, a partire dalle strutture esistenti, sia a terra che a mare, al fine di valorizzare la nautica “sociale”. Risposte strategiche per la casa pensando prioritariamente ad una espansione residenziale equilibrata, che non divora il territorio, che cerca di dare risposte concrete ai bisogni sempre crescenti nella nostra città, in particolare delle fasce più deboli della popolazione e delle giovani famiglie. Risposte per il turismo e lo sviluppo economico incentivando la qualificazione e la maggiore qualità delle strutture ricettive esistenti e favorendo la realizzazione di alberghi, incentivando gli insediamenti artigianali e industriali anche attraverso la programmazione di nuove destinazioni d’uso di servizio alle imprese, direzionali e commerciali, reperendo anche nuove aree per l’artigianato e la piccola impresa.
Non sappiamo se l’urbanista di Capalbio (sembra sia il consulente del Circolo di Rifondazione follonichese… che forse per non incorrere in “conflitti di interesse” ha preferito delegare il giudizio politico ad un “esterno”!?) ha letto o meno il nostro Regolamento, di sicuro se lo ha letto lo ha fatto con le lenti di una ideologia che lo porta a conclusioni perentorie indipendentemente dalla realtà dei fatti.

Il Pd non è «Tafazzi», siamo col Sindaco
Secondo il centrodestra il Partito Democratico ha ordito un complotto contro il Sindaco durante la seduta dell’ultimo consiglio comunale. Naturalmente non vengono elencati né fatti né persone, ci si limita ad instillare il dubbio. Non è questa la politica che facciamo: il Partito Democratico fa le battaglie politiche a viso aperto e le primarie sono il nostro tratto distintivo. Forse il suggerire complotti è invece parte del modo di fare politica del Partito della Libertà. Che trasparenza c’è, per esempio, nell’individuazione delle candidature in quella parte politica?
Questo Partito, senza alcuna esitazione, manifesta pertanto la piena fiducia nel Sindaco Claudio Saragosa, nella Giunta e nel Gruppo consiliare: in questi cinque anni hanno lavorato duramente con grande lealtà reciproca, con forza e convinzione nel rispetto degli elettori e del programma elettorale, e in particolare la riconoscenza va per il lavoro svolto nella costruzione del Regolamento Urbanistico.

Per una separazione tra interessi personali e interessi pubblici
Si è poi parlato di “conflitto d’interessi”… il conflitto di interessi evoca un convitato di pietra. La legge italiana stabilisce delle ineleggibilità e delle incompatibilità in determinate situazioni.
Per esempio è ineleggibile Confalonieri come presidente di Mediaset, e non l’azionista che detiene il pacchetto di controllo.
Si è incompatibili, per il Regolamento urbanistico, se un parente (fino al quarto grado!) è coinvolto in aree (anche piccole e marginali) soggette a trasformazioni urbanistiche, mentre al Parlamento, in caso di autorizzazioni a procedere, al diretto interessato non è fatto divieto di partecipare alla deliberazione. Oppure non sono considerati incompatibili senatori come Marcello Dell’Utri che è condannato in appello per estorsione mafiosa. La questione del “conflitto d’interessi” in Italia è dunque faccenda bislacca e non proprio coerente.
Noi abbiamo sempre lavorato e continueremo a farlo per una chiara separazione tra interessi privati e cura degli interessi pubblici. Così anche per l’ultima seduta del Consiglio abbiamo cercato con la massima trasparenza di evitare che l’approvazione del Regolamento urbanistico non fosse inficiato da alcuna presunta situazione di incompatibilità o peggio ancora che fosse respinto. Abbiamo ritirato la delibera per verificare fino in fondo la situazione particolare di tre consiglieri in cui si può configurare una condizione di incompatibilità. Anche qui nessuna ombra.

Partito Democratico di Follonica

Saturday, September 20, 2008

La verità sulla scuola

Il governo, in particolare i ministri Tremonti e Gelmini, considerano la scuola una riserva finanziaria ove tagliare in modo indiscriminato per tentare di far tornare i conti del bilancio dello Stato a danno del futuro dei nostri figli e, dunque, del futuro del paese. Infatti i tagli previsti, per il triennio 2009/2011, sono di ben 7 miliardi e 832 milioni e di 130.000 posti negli organici del personale. Questi tagli sono talmente insostenibili da mettere in discussione anche i livelli minimi di funzionamento delle scuole.
Le conseguenze più gravi saranno:

  • la cancellazione del doppio insegnante, che rappresenta una realtà di qualità – tra le poche del nostro sistema formativo;
  • con il maestro unico i bambini delle scuole elementari dovranno tornare a casa alle 12.30 (l’orario scolastico sarà infatti di 24 ore settimanali, cioè di 4 ore al giorno, senza più moduli pomeridiani e attività integrative);
  • riduzione drastica del tempo pieno e del tempo prolungato nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie;
  • a rischio di chiusura tra le 1000 e le 4000 scuole soprattutto nei piccoli comuni;
  • la riduzione degli insegnanti di sostegno per i bambini disabili;
  • maggiori difficoltà per l’integrazione dei bambini migranti e dei bambini rom;
  • l’aumento della dispersione scolastica già tra i livelli più alti d’Europa.
Insomma, la scuola disegnata dal governo Berlusconi è una scuola più povera di risorse che non può svolgere il ruolo fondamentale di ascensore sociale. E’ una scuola che tenderà ad acuire le disuguaglianze e le differenze sociali.


Thursday, September 18, 2008

Quel lezzo di fascismo...

Immaginiamo un ministro americano che proponga di considerare uguali coloro che hanno seguito Martin Luther King per ottenere la fine della segregazione razziale, e coloro che – indossando camice bianco e cappuccio e piantando nella notte croci infuocate – intendevano mantenere la segregazione per sempre. Dopotutto entrambi volevano sia pure in modi diversi, un’America solida e pacificata. In fondo molti, in entrambe le fila, erano in buona fede.

Per fortuna nessun Sindaco, tatomeno nessun ministro della Difesa ha osato pronunciare parole tanto folli… e se qualcuno lo facesse l’America si rivolterebbe.

In Italia abbiamo la fortuna e l’onore di meritarci un Sindaco della Capitale e un Ministro della Difesa, tale Ignazio La Russa, che recitano impunemente parole come queste. L’idea che ci sta dietro è quella di «coronare – come si usa dire in questi casi - un processo di pacificazione nazionale, fuori da ragioni ideologiche» riconoscendo anche ai combattenti di Salò i meriti di patrioti al pari di chi ha combattuto la Resistenza.

Viene in mente la Rabbia di Pasolini, sui ritardi morali e sociali dell’Italia, in cui si descrive quel lezzo di fascismo che non è presente solo in parole temerarie di ministri e sindaci, ma in un clima culturale tipico dei governi plebiscitari, che predicano il moralismo e praticano il qualunquismo, che consente ad alcuni ignoranti di dire, in pubblico, che «farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che i militari della Rsi combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia», mettendo sullo stesso piano chi ha servito l’occupante nazista ammazzando e torturando i partigiani, collaborando nella meticolosa attività di identificazione, arresto e deportazione degli ebrei italiani nei campi di sterminio; e chi invece ha combattuto perché nel nostro paese si affermasse la democrazia e la libertà.

Certo, le sofferenze brucianti e i drammi personali hanno investito tutti. E la pietas umana più profonda sia per tutti. Ma non si può confondere il piano delle vicende personali con il piano della Storia.

Spesso le scelte di stare da un parte o dall’altra non erano dettate da alte ragioni ideologiche o politiche, o da scelte chiare e razionali; molto spesso erano dettate da sentimenti di rabbia, di furore, dalla confusione, dall’opportunità. Ma dietro il milite delle Brigate nere più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le leggi raziali, gli omicidi politici, le camere di tortura, l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro c’era la lotta per una società pacifica e democratica. Il senso della storia è che al secondo dobbiamo quel che non avevamo, cioè pace, libertà, democrazia; il primo, se avesse avuto ragione, ce ne avrebbe ancor più ferocemente privato che in passato.
Se la distinzione fra i due non è mantenuta, se un qualsiasi italiano, se un giovane di oggi non pensa che se fosse accaduto a lui di trovarsi in quella situazione, si sarebbe affiancato a quel suo antico coetaneo che saliva lungo quel sentiero verso un destino di precarietà e di sofferenza, non vuol dire soltanto che si legge male la storia del passato: vuol dire che della libertà e della giustizia non ce ne importa nulla oggi.


Andrea Benini, Segretario del Partito Democratico di Follonica

La scuola della destra




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Autolesionisti

Zitti zitti, nel Pd sono davvero molti i dirigenti convinti che il modo migliore per garantire una rapida ed efficiente successione all’attuale segreteria del partito sia quello di confidare in una progressiva autodissoluzione della leadership di Veltroni. Ma a tutti coloro che in questi giorni si nascondono dietro agli errori commessi dal segretario verrebbe da dire di fare attenzione, perché il rischio che i peggiori nemici di W. si trasformino anche nei peggiori nemici del Partito democratico è un rischio tutt’altro che da sottovalutare.
E’ evidente che, per tutti quei leader che in silenzio si stanno autocandidando alla successione all’ex sindaco di Roma, auspicare il logoramento di Veltroni potrebbe persino rivelarsi (almeno dal punto di vista personale) una tattica efficace per non farsi trovare impreparati di fronte a un clamoroso flop alle prossime elezioni europee. Rendere però esplicite le linee politiche alternative presenti nel Pd sarebbe, a questo punto, l’unico modo per far respirare il progetto politico del maggior partito dell’opposizione, e per questo non dovrebbe essere così difficile per politici – ad esempio – come D’Alema, Bersani o Letta comprendere che, per chi già si trova su una zattera malconcia, può essere molto pericoloso considerare risolutiva, e persino liberatoria, una prossima tempesta elettorale. Dunque, se nel Pd esistono delle visioni alternative, bene, che vengano fuori: altrimenti il rischio è quello di fare la figura non soltanto degli autolesionisti ma un po’ anche dei vigliacchetti.

Diceva Longanesi: "Nel tricolore andrebbe scritto: tengo famiglia".


Caro Silvio nel tricolore che tu vuoi mantenere sulle ali di una compagnia aerea - che tra 5 anni diventerà francese - ci sono i risparmi di milioni di contribuenti italiani, che tengono famiglia!


Saturday, September 13, 2008

Il liberale illiberale (numero 3): "Ah ridateci Spinettà!"



Chi l'avrebbe mai detto che saremmo giunti a rimpiangere i Francesi in nome dell'Italianità...

Al link un'analisi sulla vicenda "privatizzazione Alitalia" (clicca QUI)

Monday, September 8, 2008

Facci fare il federalismo fiscale figliola, poi ci pensiamo!

Riferendosi al Ministro Gelmini: "Per capire che cosa serve alla scuola devi averci vissuto dentro, essere stato insegnante, aver sentito l'odore della polvere [cosa che la Gelmini non ha fatto] [...] se c'è un solo insegnante è facile che si rovini il bambino [...] La scuola la prossima volta, magari, la chiederà la Lega".

Durante il suo intervento è stato interrotto da una donna, che ha urlato: "Mandala a casa la Gelmini". Secca la risposta: "Se comincio a mandare un ministro a casa è facile che si ingrippi il governo. Facci fare il federalismo fiscale figliola, poi ci pensiamo".

Umberto Bossi, intervenendo ad un comizio a Torino*****

Saturday, September 6, 2008

Economist vs Berlusconi: 2-0

1-0

Il periodico inglese The Economist ha vinto una causa contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il premier aveva citato il settimanale britannico per diffamazione a mezzo stampa, per via di una famosa copertina che, prima delle elezioni del 2001, titolava "Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy" (perché Silvio Berlusconi è inadeguato a guidare l'Italia).



"Una corte milanese ha emesso un giudizio che rigetta tutte le accuse di mr.Berlusconi, obbligandolo ad assumersi tutti i costi legali sostenuti dall'Economist.
Nella sentenza, emessa dal Tribunale di Milano, si legge che nella "puntigliosa ricostruzione dei fatti" fatta dal giornale, "non è dato ravvisare alcuna dolosa o colposa alterazione dei fatti storici e processuali". E le "conclusioni soggettive" espresse nel giudizio politico su Berlusconi, "sono coerenti" con le premesse da cui parte l'articolo, ovvero sono presentate come una "cruda ma personale valutazione" e non come un "fatto storico".

Fonte: Repubblica

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2-0

«Qual è prezzo del patriottismo?» Cinque miliardi di euro e circa 125 euro per ognuno dei 40 milioni di contribuenti italiani. L'attacco arriva dalle colonne dell'Economist, che, in un articolo in uscita venerdì boccia l'operazione Fenice per il salvataggio di Alitalia come «sbagliata e costosa», senza una «logica economica» e costruita per salvare una «compagnia da tempo azzoppata».
La logica dell'operazione, sottolinea il settimanale britannico, «non è mai stata economica. Il suo obiettivo era semplicemente onorare la promessa elettorale fatta da Berlusconi, che aveva annunciato di avere una soluzione migliore rispetto all'offerta di Air-France Klm, definita "offensiva" (ma che avrebbe esonerato i contribuenti dai debiti di Alitalia). Berlusconi aveva insistito nel dire che alcuni imprenditori italiani stava aspettando per avere una chance e, con diversi mesi di ritardo, è stata messa insieme una cordata». Sugli interessi degli imprenditori della cordata, evidenzia poi la rivista inglese, «c'è uno scetticismo diffuso». «Non ho mai visto tigri vegetariane - sottolinea con sarcasmo Marco Ponti, professore di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano - e non conosco nessun uomo d'affari disposto a perdere soldi sull'altare dell'italianità».
«Come molti altri esperti - prosegue l'Economist -, Ponti sospetta che gli investitori hanno avuto garanzie dal governo, per cui, se le cose dovessero andare male, riceveranno "favori in altri settori"». Tutto questo, conclude il giornale inglese, «dovrebbe interessare vivamente la Commissione europea, ma una delle prime mosse di Berlusconi è stata assicurare la nomina di un suo uomo, Antonio Tajani, a commissario europeo per i Trasporti. Alcuni concorrenti di Alitalia potrebbero ancora protestare rivolgendosi all'Ue ma, prima che Colaninno arrivasse a Bruxelles per illustrare l'operazione Fenice, Tajani l'ha elogiata perchè “favorisce il mercato e il principio di concorrenza”».


Fonte: Istituto Bruno Leoni


Esuberi Berlusconiani

Thursday, September 4, 2008

Carovana della Pace

Con piacere pubblichiamo questo invito speditoci per e-mail

E' in arrivo
la Carovana Missionaria
della Pace!!!

Nel suo percorso che attraverserà l'Italia

da nord a sud,

quest'anno per la prima volta

la Carovana farà tappa

a Follonica

sabato 6 settembre.

E' una iniziativa organizzata dai Comboniani,

in collaborazione con i Centri Missionari,

per mettersi in ascolto

delle realtà locali,

rilanciando percorsi di pace e dialogo.


Il tema della giornata sarà "Accogliere l'immigrato: un sogno di pace e convivenza". L'evento sarà organizzato nella pineta della chiesa dei Santi Pietro e Paolo dalle ore 18. La testimonianza di alcuni immigrati sul loro sogno di pace sarà seguita dalla riflessione del biblista Bruno Pistocchi, sul tema "Anche Dio ha un sogno". Alle ore 20 ci fermeremo insieme per una cena-buffet(...chi vorrà portare qualcosa da condividere con gli altri farà cosa molto gradita!!!). Alle 21,30 concluderemo la giornata con un momento di preghiera ecumenica che sarà guidato dalla pastora della Chiesa Battista di Grosseto, Elizabeth Green, insieme al sacerdote missionario, don Francesco Guarguaglini, da poco rientrato dal Ciad.


Siete tutti invitati a partecipare...


dalla nostra voglia di incontrarci ed ascoltarci,

dall'amore per l'uomo,

dall'ostinazione nel costruire un mondo migliore,

nascono piccoli semi di pace.

il Centro Missionario diocesano

Se puoi, fai circolare questo invito.


Tuesday, September 2, 2008

Obama, il discorso di Denver

È con profonda gratitudine e grande umiltà che accetto la vostra nomination per la presidenza degli Stati Uniti. Lasciate anzitutto che ringrazi i miei avversari nelle primarie e in particolare colei che più a lungo mi ha conteso la vittoria – un faro per i lavoratori americani e fonte di ispirazione per le mie figlie e le vostre – Hillary Rodham Clinton.

Grazie anche al presidente Clinton e a Ted Kennedy, che incarna lo spirito di servizio, e al prossimo vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Il mio amore va alla prossima First Lady, Michelle Obama e a Sasha e Malia. Vi amo e sono fiero di voi.

Quattro anni fa vi ho raccontato la mia storia, la storia di una breve unione tra un giovane del Kenya e una giovane del Kansas, persone qualunque e non ricche, ma che condividevano la convinzione che in America il loro figliolo potesse realizzare i suoi sogni.

È questa la ragione per cui mi trovo qui stasera. Perchè per 230 anni ogni qual volta questo ideale americano è stato minacciato, gli uomini e le donne di questo Paese – studenti e soldati, contadini e insegnanti, infermieri e bidelli – hanno trovato il coraggio di difenderlo.

Attraversiamo un momento difficile, un momento in cui il Paese è in guerra, l’economia è in crisi e il sogno americano è stato ancora una volta minacciato.
Oggi molti americani sono disoccupati e moltissimi sono costretti a lavorare di più per un salario inferiore. Molti di voi hanno perso la casa. Questi problemi non possono essere tutti imputati al governo. Ma la mancata risposta è il prodotto di una politica fallimentare e delle pessime scelte di George W. Bush. L’America è migliore della nazione che abbiamo visto negli ultimi otto anni. Il nostro Paese è più generoso di quello in cui un uomo in Indiana deve imballare i macchinari con i quali lavora da venti anni e vedere che vengono spediti in Cina e poi con le lacrime agli occhi deve tornare a casa e spiegare alla famiglia cosa è successo. Abbiamo più cuore di un governo che abbandona i reduci per le strade, condanna le famiglie alla povertà e assiste inerme alla devastazione di una grande città americana a causa di un nubifragio. Stasera agli americani, ai democratici, ai repubblicani, agli indipendenti di ogni parte del Paese dico una cosa sola: basta!

Abbiamo l’occasione di rilanciare nel ventunesimo secolo il sogno americano. Siamo qui stasera perchè amiamo il nostro Paese e non vogliamo che i prossimi quattro anni siano come gli otto che abbiamo alle spalle.

Ma non voglio essere frainteso.
Il candidato repubblicano, John McCain, ha indossato la divisa delle forze armate degli Stati Uniti con coraggio e onore e per questo gli dobbiamo gratitudine e rispetto. Ma i precedenti sono chiari: John McCain ha votato per George Bush il 90% delle volte.
Al senatore McCain piace parlare di giudizio, ma di quale giudizio parla visto che ha ritenuto che George Bush avesse ragione più del 90% delle volte? Non so come la pensate, ma a me il 10% non basta per cambiare le cose.

La verità è che su tutta una serie di questioni che avrebbero potuto cambiare la vostra vita – dall’assistenza sanitaria all’istruzione e all’economia – il senatore McCain non è stato per nulla autonomo.
Ha detto che l’economia ha fatto «grandi progressi» sotto la presidenza Bush.
Ha detto che i fondamentali dell’economia sono a posto. Ha detto che soffrivamo unicamente di una «recessione mentale» e che siamo diventati una «nazioni di piagnucoloni». Una nazione di piagnucoloni. Andatelo a dire ai metalmeccanici del Michigan che hanno volontariamente deciso di lavorare di più per scongiurare la chiusura della fabbrica automobilistica.

Ditelo alle famiglie dei militari che portano il loro peso in silenzio. Questi sono gli americani che conosco.
McCain sarà in buona fede ma non sa come stanno le cose. Altrimenti come avrebbe potuto dire che appartengono al ceto medio tutti quelli che guadagnano meno di 5 milioni di dollari l’anno?
Come avrebbe potuto proporre centinaia di miliardi di sgravi fiscali per le grandi aziende e per le compagnie petrolifere e nemmeno un centesimo per oltre cento milioni di americani?

Da oltre due decenni McCain è fedele alla vecchia e screditata filosofia repubblicana secondo cui bisogna continuare a far arricchire quelli che sono già ricchi nella speranza che qualche briciola di prosperità cada dal tavolo e finisca agli altri.

Perdi il lavoro? Pura sfortuna. Non hai assistenza sanitaria? Ci penserà il mercato. Sei nato in una famiglia povera? Datti da fare. È ora di cambiare l’America. Noi democratici abbiamo del progresso una idea completamente diversa.
Per noi progresso vuol dire trovare un lavoro che ti consenta di pagare il mutuo; vuol dire poter mettere qualcosa da parte per mandare i figli all’università. Per noi progresso sono i 23 milioni di nuovi posti di lavoro creati da Bill Clinton quando era presidente.

Noi misuriamo la forza dell’economia non in base al numero dei miliardari, ma in base alla possibilità di un cittadino che ha una buona idea di rischiare e avviare una nuova impresa. Vogliamo una economia rispettosa della dignità del lavoro.
I criteri con cui valutiamo lo stato di salute dell’economia sono quelli che hanno reso grande questo Paese e che mi consentono di essere qui stasera. Perchè nei volti dei giovani reduci dell’Iraq e dell’Afghanistan vedo mio nonno che andò volontario a Pearl Harbour, combattè con il generale Patton e fu ricompensato da una nazione capace di gratitudine con la possibilità di andare all’università.

Nel volto del giovane studente che dorme appena tre ore per fare il turno di notte vedo mia madre che ha allevato da sola mia sorella e me e contemporaneamente ha finito gli studi. Quando parlo con gli operai che hanno perso il lavoro penso agli uomini e alle donne del South Side di Chicago che venti anni fa si batterono con coraggio dopo la chiusura dell’acciaieria.
Ignoro che idea abbia McCain della vita che conducono le celebrità, ma questa è stata la mia vita. Questi sono i miei eroi. Queste sono le vicende che mi hanno formato. Intendo vincere queste elezioni per rilanciare le speranze dell’America.

Ma quali sono queste speranze? Che ciascuno possa essere l’artefice della propria esistenza trattando gli altri con dignità e rispetto. Che il mercato premi il talento e l’innovazione e generi crescita, ma che le imprese si assumano le loro responsabilità e creino posti di lavoro.
Che il governo, pur non potendo risolvere tutti i problemi, faccia quello che non possiamo fare da soli: proteggerci e garantire una istruzione a tutti i bambini; preoccuparsi dell’ambiente e investire in scuole, strade, scienza e tecnologia.

Il governo deve lavorare per noi, non contro di noi. Deve garantire le opportunità non solo ai più ricchi e influenti, ma a tutti gli americani che hanno voglia di lavorare. Sono queste le promesse che dobbiamo mantenere. È questo il cambiamento di cui abbiamo bisogno. E sul tipo di cambiamento che auspico quando sarò presidente voglio essere molto chiaro.

Cambiamento vuol dire un sistema fiscale che non premi i lobbisti che hanno contribuito a farlo approvare, ma i lavoratori americani e le piccole imprese. Il mio programma prevede tagli fiscali del 95% a beneficio delle famiglie dei lavoratori. In questa situazione economica l’ultima cosa da fare è aumentare le tasse che colpiscono il ceto medio.

E per l’economia, per la sicurezza e per il futuro del pianeta prendo un impegno preciso: entro dieci anni sarà finita la nostra dipendenza dal petrolio del Medio Oriente. Da presidente sfrutterò le nostre riserve di gas naturale, investirò nel carbone pulito e nel nucleare sicuro. Inoltre investirò 150 miliardi di dollari in dieci anni sulle fonti energetiche rinnovabili: energia eolica, energia solare, biocombustibili.

L’America deve pensare in grande. È giunto il momento di tenere fede all’obbligo morale di garantire una istruzione adeguata a tutti i bambini. Assumerò un esercito di nuovi insegnanti pagandoli meglio e appoggiandoli nel loro lavoro.
È giunto il momento di garantire l’assistenza sanitaria a tutti gli americani. È giunto il momento di garantire ai lavoratori il congedo per malattia retribuito perché in America nessuno dovrebbe scegliere tra mantenere il lavoro o prendersi cura di un figlio o di un genitore ammalato. È giunto il momento di realizzare la parità salariale tra uomini e donne perché voglio che le mie figlie abbiano esattamente lo stesso trattamento dei vostri figli.

Molti di questi programmi richiederanno grossi investimenti ma ho previsto la copertura finanziaria per ogni progetto di riforma. Ma realizzare le speranze americane comporta qualcosa di più del denaro. Comporta senso di responsabilità e la riscoperta di quella che John F. Kennedy definì «la forza morale e intellettuale». Ma il governo non può fare tutto. Nessuno può sostituire i genitori. Il governo non può spegnere il televisore nelle vostre case per far fare i compiti ai figli e non è compito del governo allevare i figli con amore.

Responsabilità personale e collettiva: è questo il senso delle speranze americane. Ma i valori dell’America vanno realizzati non solo in patria, ma anche all’estero. John McCain dubita delle mie capacità di fare il comandante in capo. Mi ha sfidato a sostenere un dibattito televisivo su questo tema. Non mi tirerò indietro. Dopo l’11 settembre mi sono opposto alla guerra in Iraq perché ritenevo che ci avrebbe distratto dalle vere minacce. John McCain ama ripetere che è disposto a seguire Bin Laden fino alle porte dell’inferno, ma in realtà non vuole andare nemmeno nella grotta in cui vive.

L’Iraq ha un avanzo di bilancio di 79 miliardi di dollari mentre noi sprofondiamo nel deficit eppure John McCain, testardamente, si rifiuta di mettere fine a questa guerra insensata. Abbiamo bisogno di un presidente capace di affrontare le minacce del futuro e non aggrappato alle idee del passato. Non si smantella una rete terroristica che opera in 80 Paesi occupando l’Iraq. Non si protegge Israele e non si dissuade l’Iran facendo i duri a parole a Washington. Non si può fingere di stare dalla parte della Georgia dopo aver logorato i rapporti con i nostri alleati storici.
Se John McCain vuol continuare sulla falsariga di Bush, quella delle parole dure e delle pessime strategie, faccia pure, ma non è il cambiamento che serve agli americani. Siamo il partito di Roosevelt. Siamo il partito di Kennedy. E quindi non venitemi a dire che i democratici non difenderanno il nostro Paese. Come comandante in capo non esiterò mai a difendere questa nazione.

Metterò fine alla guerra in Iraq in maniera responsabile e combatterò contro Al Qaeda e i talebani in Afghanistan. Rimetterò in piedi l’esercito. Ma farò nuovamente ricorso alla diplomazia per impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari e per contenere l’aggressività russa. Creerò nuove alleanze per vincere le sfide del ventunesimo secolo: terrorismo e proliferazione nucleare; povertà e genocidio; cambiamento climatico e malattie. E ripristinerò la nostra reputazione morale perchè l’America torni ad essere per tutti il faro della speranza, della libertà, della pace e di un futuro migliore.

È questo il mio programma. Sono tempi duri, la posta in gioco è troppo alta perchè si continui a demonizzare l’avversario. Il patriottismo non ha bandiere di partito. Amo questo Paese, ma lo ama anche John McCain. Gli uomini e le donne che si battono sui campi di battaglia possono essere democratici, repubblicani o indipendenti, ma hanno combattuto insieme e spesso sono morti insieme per amore della stessa bandiera.

Il compito che ci aspetta non è facile. Le sfide che dobbiamo affrontare comportano scelte difficili e sia i democratici che i repubblicani debbono abbandonare le vecchie, logore idee e la politica del passato. Negli ultimi otto anni non abbiamo perso solamente posti di lavoro o potere d’acquisto; abbiamo perso il senso dell’unità di intenti. Possiamo non essere d’accordo sull’aborto, ma certamente tutti vogliamo ridurre il numero delle gravidanze indesiderate.

Il possesso delle armi da fuoco non è la stessa cosa per i cacciatori dell’Ohio e i cittadini di Cleveland minacciati dalle bande criminali, ma non venitemi a dire che violiamo il secondo emendamento della Costituzione se impediamo ai criminali di girare con un kalashnikov. So che ci sono divergenze sul matrimonio gay, ma sono certo che tutti siamo d’accordo sul fatto che i nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche hanno il diritto di fare visita in ospedale alla persona che amano e hanno il diritto a non essere discriminati. Una grande battaglia elettorale si vince sulle piccole cose.

So di non essere il candidato più probabile per questa carica. Non ho il classico pedigree e non ho passato la vita nei Palazzi di Washington. Ma stasera sono qui perchè in tutta l’America qualcosa si sta muovendo. I cinici non capiscono che questa elezione non riguarda me. Riguarda voi. Per 18 mesi vi siete impegnati e battuti e avete diffusamente parlato della politica del passato. Il rischio maggiore è aggrapparsi alla vecchia politica con gli stessi vecchi personaggi e sperare che il risultato sia diverso.

Avete capito che nei momenti decisivi come questo il cambiamento non viene da Washington. È Washington che bisogna cambiare. Il cambiamento lo chiedono gli americani. Ma sono convinto che il cambiamento di cui abbiamo bisogno è alle porte. L’ho visto con i miei occhi. L’ho visto in Illinois dove abbiamo garantito l’assistenza sanitaria ai bambini e dato un posto di lavoro a molte famiglie che vivevano con il sussidio di disoccupazione.
L’ho visto a Washington quando con esponenti di entrambi i partiti ci siamo battuti contro l’eccessiva invadenza dei lobbisti e quando abbiamo presentato proposte a favore dei reduci. E l’ho visto nel corso di questa campagna elettorale.

L’ho visto nei giovani che hanno votato per la prima volta, nei repubblicani che non avrebbero mai pensato di poter scegliere un democratico, nei lavoratori che hanno scelto di auto-ridursi l’orario di lavoro per non far perdere il posto ai compagni, nei soldati che hanno perso un arto, nella gente che accoglie in casa un estraneo quando c’è un uragano o una inondazione. Il nostro è il Paese più ricco della terra, ma non è questo che ci rende ricchi. Abbiamo l’esercito più potente del mondo, ma non è questo che ci rende forti. Le nostre università e la nostra cultura sono l’invidia del mondo, ma non è per questo che gente di ogni parte del mondo viene in America.

È lo spirito americano – quella promessa americana – che ci spinge ad andare avanti anche quando il cammino sembra incerto. Quella promessa è il nostro grande patrimonio. È la promessa che faccio alle mie figlie quando rimbocco loro le coperte la sera, la promessa che ha indotto gli immigranti ad attraversare gli oceani e i pionieri a colonizzare il West, la promessa che ha spinto i lavoratori a lottare per i loro diritti scioperando e picchettando le fabbriche e le donne a conquistare il diritto di voto.

È la promessa che 45 anni fa fece affluire milioni di americani a Washington per ascoltare le parole e il sogno di un giovane predicatore della Georgia. Gli uomini e le donne lì riuniti avrebbero potuto ascoltare molte cose. Avrebbero potuto ascoltare parole di rabbia e di discordia. Avrebbero potuto cedere alla paura e alla frustrazione per i tanti sogni infranti. Ma invece ascoltarono parole di ottimismo, capirono che in America il nostro destino è inestricabilmente legato a quello degli altri e che insieme possiamo realizzare i nostri sogni. «Non possiamo camminare da soli», diceva con passione il predicatore. «E mentre camminiamo dobbiamo impegnarci ad andare sempre avanti e a non tornare indietro».
America, non possiamo tornare indietro. C’è molto da fare. Ci sono molti bambini da educare e molti reduci cui prestare assistenza. Ci sono una economia da rilanciare, città da ricostruire e aziende agricole da salvare. Ci sono molte famiglie da proteggere. Non possiamo camminare da soli. In questa campagna elettorale dobbiamo prendere nuovamente l’impegno di guardare al futuro.

Manteniamo quella promessa – la promessa americana. Grazie. Che Dio vi benedica. Che Dio benedica gli Stati Uniti d’America.

Monday, September 1, 2008

Già scarcerati



Ed allora mi domando: a che servono le impronte dei bambini ROM, i soldati nelle città, le prediche di Alemanno, se succedono questi fatti? Dov'è la sicurezza tanto promessa?

Quelli che il Lodo Alfano: La Seconda e la Terza Carica della Repubblica

Su La Terza Carica della Repubblica abbiamo scritto alcune cose alcuni giorni fa, di seguito invece una divertente satira sull'odierna Seconda Carica della Repubblica



Con questo post introduciamo un nuovo tag Quelli del Lodo Alfano: il numero 2 e 3, che riporta le performance di La Seconda e Terza Carica della Repubblica.