Sunday, November 30, 2008

guarda caso proprio Sky (2)



Il post pubblicato ieri ha avuto un grandissimo successo di contatti, e quindi proviamo ad aggiornare ed approfondire l'argomento.

Paolo Romani, sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni e da sempre uomo di riferimento per le materie televisive per Forza Italia, in questa intervista su Il Corriere ha detto in merito: «In tempi di crisi, era un atto dovuto e necessario. Esisteva una situazione di privilegio che non ha più ragion d'essere».
E poi ha così risposto alle domande del giornalista
:
Non crede però che una decisione del genere non possa essere presa da un governo presieduto dal proprietario della maggiore tivù commerciale italiana? Non le sembra logico che l'opposizione lamenti il conflitto di interessi? «Assolutamente no, perché è una decisione giusta e doverosa. Ci mancherebbe che il governo non potesse muoversi in questo settore, se si evidenzia un particolare squilibrio! Tra l'altro, voglio segnalare che anche Mediaset premium, sulle cui carte prepagate già si pagava l'Iva al 20%, subisce lo stesso aumento di Sky per quanto riguarda gli abbonamenti al digitale, dunque non c'è nessun vantaggio per nessuno».

A rimetterci comunque saranno gli abbonati
«Che hanno comunque, sempre, la possibilità di scegliere, visto che esistono televisioni a pagamento come esistono televisioni che si possono vedere gratuitamente».


Bene, se ci sono gli estremi per formalizzare il conflitto di interessi lo deciderà l'AGCM, mi preme sottolineare il fatto che l'art. 3 comma 1 della Legge n. 215/2004 si applica anche per omissione di atto dovuto, e il sottosegretario ci dice che questo è un atto dovuto; detto altrimenti, in caso di ritiro di tale intervento e se realmente sussistessero le condizioni di incompatibilità espresse dalla legge, anche l'omissione di questo atto sarebbe un conflitto di interessi.

Il dubbio principale che mi ostacola dal capire se conflitto di interessi c'è o meno, sta nel capire se i benefici per colui che è incompatibile sono diretti e specifici o meno. Ma dalle parole del sottosegretario sembra che ci sia una forte sostituibilità tra beni: "
la possibilità di scegliere, visto che esistono televisioni a pagamento come esistono televisioni che si possono vedere gratuitamente", configurando così un unico mercate rilevante; se così fosse il conflitto di interessi potrebbe essere ancora più dimostrabile. Gli analisti AGCM faranno le loro simulazioni econometriche e magari vi terrò aggiornato, comunque resta il fatto che questo potrebbe divenire un case study sul conflitto di interessi molto interessante.

Il Partito Democratico ribadisce che c'è un palese conflitto d'interessi, dato che tale intervento non riguarda Mediaset e che contrariamente a quanto successo in passato stavolta Silvio Berlusconi non ha nanche rinunciato a votare la norma uscendo dal Consiglio dei Ministri.
Giovanna Melandri, ministro delle Comunicazioni nel governo ombra (non lo sapevo, ne prendo atto con molte perplessità che ho già espresso tempo fa!) ha affermato: "Con la norma anti Sky il governo ha compiuto in un colpo solo due gravi errori. Ha di fatto creato una tassa di 80 euro a quasi cinque milioni di famiglie, smentendo clamorosamente l'intento sbandierato di non imporre nuove imposte, e ha di fatto certificato ancora una volta il suo disprezzo nei confronti di qualsiasi logica di rispetto del mercato".

Non so come finirà, ma ha ragione Bersani quando dice che dai lavori parlamentari si vedrà chi avanzerà delle perplessità e chi no, ovvero chi è un liberale e chi no.

Saturday, November 29, 2008

Il liberale illiberale (numero 4): "guarda caso proprio Sky"




L'art. 3 comma 1 della Legge n. 215/2004 recita che: "Sussiste situazione di conflitto di interessi ai sensi della presente legge quando il titolare di cariche di governo partecipa all'adozione di un atto, anche formulando la proposta, o omette un atto dovuto, trovandosi in situazione di incompatibilità ai sensi dell'articolo 2, comma 1, ovvero quando l'atto o l'omissione ha un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o societa' da essi controllate [...] con danno per l'interesse pubblico."
L'art. 2 comma 1 a cui si rimanda dice che: "Agli effetti della presente legge per titolare di cariche di governo si intende il Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400."
Per completezza riporto anche l'art. 1 della medesima legge: "I titolari di cariche di governo, nell'esercizio delle loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto d'interessi."

Dunque cosa ha fatto Silvio?

Nel pacchetto anticrisi varato ieri dal governo ha raddoppiato dell'Iva sugli abbonamenti PayTv. Decisione che ha fatto infuriare la tv di Murdoch (in foto), leader in Italia nel settore. Con tanto di nota ufficiale dell'amministratore delegato di Sky Italia Tom Mockridge dice: "In una fase di crisi economica i governi lavorano per trovare una soluzione che aumenti la capacità di spesa dei cittadini e sostenga la crescita delle imprese con l'obiettivo di generare sviluppo e nuovi posti di lavoro. Ad esempio, questa settimana, il primo ministro inglese Gordon Brown ha annunciato una riduzione dell'Iva dal 17,5% al 15%. Ieri invece il governo italiano ha annunciato invece una misura che va nella direzione opposta: il raddoppio dell'Iva sugli abbonamenti alla pay-tv dal 10 al 20%".
Inoltre, prosegue, "Sky oggi dà lavoro direttamente ad oltre 5000 persone e ad altre 4000 nell'indotto, più del triplo del totale dei dipendenti sommati di stream e tele+ nel 2003. Con la decisione annunciata ieri le tasse generate grazie agli abbonati di Sky cresceranno a 580 milioni di euro, una crescita evidentemente in contrasto con l'affermazione del governo che questo pacchetto 'sostiene lo sviluppo delle imprese'".
Dunque, puntualizza, "deve essere chiaro che questo provvedimento è un aumento delle tasse per le oltre 4.6 Milioni di famiglie italiane che hanno liberamente scelto i programmi di Sky. Informeremo immediatamente i nostri oltre 4,6 milioni di abbonati di questa decisione del governo di aumentare le loro tasse, affinchè in questi tempi difficili abbiano chiaro che cosa sta accadendo alla loro capacità di spesa".

Ma il provvedimento non è piaciuto neppure al Partito democratico, che denuncia il palese conflitto d'interessi. "Il raddoppio dell'Iva per la tv a pagamento inserito a sorpresa nel decreto anti crisi del governo ha tutta l'aria di un blitz contro Sky, il principale concorrente privato di Mediaset", denuncia Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione del Pd. "L'azienda di proprietà della famiglia Berlusconi - aggiunge - non è infatti coinvolta dall'aumento visto che la norma del 1995 abrogata ieri riguarda solo la tv via satellite e via cavo. L'eventuale coinvolgimento di Mediaset sarebbe comunque insignificante perché relativo non alle carte prepagate del calcio ma soltanto agli abbonamenti mensili per alcuni canali digitali. In pratica, anche se fosse vero questo coinvolgimento, sarebbe infinitesimale".
E all'attacco va anche il ministro ombra dell'Economia Pierluigi Bersani. "L'onorevole Berlusconi - si chiede ironicamente - era presente al Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto anti crisi? In quel decreto c'è una tassa sulla pay-tv che pagheranno milioni di famiglie e che pesa uno per le aziende del presidente del Consiglio e cento per un suo concorrente". "Benché ci si siamo ormai abituati a tutto - aggiunge Bersani - voglio credere che una simile stortura del mercato non passi inosservata. Sarà una buona occasione per sapere quanti liberali ci sono in Parlamento".


Fonte legislativa da AGCM
Fonte notizia da Repubblica

p.s.: rammento che nel 2001 si vociferava che Silvio stesse vendendo proprio Mediaset a Murdoch.

Sunday, November 23, 2008

Che cosa è la Destra, che cosa la Sinistra?

Gli scaffali delle librerie dedicati alle ultime novità dicono più di tante sofisticate analisi: “Sinistrati – Storia sentimentale di una catastrofe politica” (Edmondo Berselli, Mondadori); “Fine corsa – Le sinistre italiane dal governo al suicidio” (Rodolfo Brancoli, Garzanti); “Eutanasia della sinistra” (Riccardo Barenghi, Fazi editore). E se dai titoli si passa al contenuto, aprendo alla prima pagina e cominciando a leggere, l’effetto non cambia. Berselli: “Dopo che ci è arrivato addosso il tram, in quel fatale e crudelissimo mese di aprile…”. Brancoli: “Dramma può sembrare una parola grossa…”. Barenghi: “Buia e tempestosa, era una di quelle notti che vanno avanti anche di giorno”.

Tutto il contrario che ad Amsterdam
Berselli, Brancoli, Barenghi. Nessuno di loro può essere definito di destra. Tutti s’identificano in qualche modo in un’area che va dalla cosiddetta sinistra radicale al centrosinistra. Evidentemente, almeno a giudicare dai loro libri, la sinistra italiana non si sente tanto bene.
Non è una grande scoperta, d’accordo. A voler essere rigorosi, non è una novità nemmeno sul piano editoriale. “A casa ho uno scaffale lungo un chilometro per ospitare saggi, libelli e pamphlet sulla crisi della sinistra”, ha scritto martedì su Repubblica Michele Serra. “Ma tutti a rischio di inflazione per almeno due motivi: il primo è che la sinistra è effettivamente in crisi, il secondo è che i suoi intellettuali traggono dalla crisi ispirazione quasi infinita”.
Difficile dargli torto (su entrambe le cose). E se dai libri si passa agli articoli su quotidiani e settimanali, ai talk show, alle trasmissioni radiofoniche e ai siti Internet, il tasso di inflazione raggiunge rapidamente livelli da anni Trenta. In perfetta armonia con il tenore generale del dibattito.
Se però ci si domanda da dove questa terribile crisi sia cominciata, ecco affacciarsi un sospetto inquietante. E cioè che in Italia la crisi della sinistra sia nata prima ancora della sinistra. Se poi si pensa ai molti articoli, libelli e pamphlet dedicati alla “crisi della destra”, una destra che non è mai “normale”, “moderna” ed “europea” – oppure lo è troppo, smarrendo così “l’identità”, “le radici” e “i valori” tradizionali – si capisce che il discorso non vale solo per la sinistra (e se accanto allo scaffale dedicato alla crisi della sinistra, in casa Serra, c’è solo “uno scaffalino vuoto”, quello “destinato ai libri sulla crisi della destra”, non è colpa del mercato editoriale).

Il punto è che in tutto questo interrogarsi su come siano cambiate, snaturate o deperite la destra e la sinistra italiane, si perde di vista il fatto che in Italia, per almeno mezzo secolo, non si sono mai avute né l’una né l’altra. Si rischia insomma di finire come quel sindaco di “Caro diario” che non trovando nella sua remota isoletta un posto in cui ospitare l’unico turista, a ogni porta che gli veniva sbattuta in faccia, commentava amareggiato: “Tutto il contrario che ad Amsterdam!”. Da un lato, infatti, il principale partito di governo in Italia si chiamava Democrazia cristiana, e certo non era né si definiva “di destra”; dall’altro, il principale partito di opposizione si chiamava Partito comunista, e dalla sua fondazione nel 1921 fino ai primi anni Ottanta non ha mai detto né pensato di rappresentare “la sinistra”.
Come ricorda Armando Cossutta, tanto per Togliatti quanto per Berlinguer, i comunisti rappresentavano “il movimento operaio”, “i lavoratori”, “le classi subalterne”, “le masse popolari”. Non “la sinistra”. Semmai, come sostiene Andrea Margheri, il dibattito si concentrava sulla domanda se bisognasse dire “classe operaia” o invece “classi lavoratrici”, per non scadere nell’operaismo e nel settarismo. E più o meno lo stesso discorso, almeno fino agli Settanta, valeva pure per i missini.
“Nella ‘Dottrina del fascismo’ di Benito Mussolini – osserva Giano Accame – la parola ‘destra’ compare una sola volta, e tra virgolette”. (“Si può pensare che questo sia il secolo dell’autorità, un secolo di ‘destra’…”, scriveva infatti il Duce in quello che sarebbe diventato il testo fondamentale per generazioni di fascisti e neofascisti). Persino Giorgio Almirante, quando negli anni Settanta aprì le porte del suo partito ai monarchici e cambiò il nome in “Msi-Destra nazionale”, incontrò serie resistenze. E non solo perché il Msi – e lo stesso Almirante – provenivano dal fascismo di Salò, dunque dal cosiddetto “fascismo di sinistra”. Ma anche perché, come ricorda Accame, già allora “le definizioni ‘destra’ e ‘sinistra’ ci apparivano superate”. Secondo un modo di pensare perfettamente speculare a quello dei comunisti, infatti, i missini non si definivano come “la destra”, ma come “un movimento di alternativa sociale e nazionale, di alternativa al sistema”.
A ripensarci oggi, tra tante lamentazioni sulle smarrite identità di destra e di sinistra, viene da sorridere. Eppure è solo negli anni Settanta che quelle definizioni cominciano a imporsi, e spesso come contestazione dei partiti tradizionali. Iniziano a imporsi cioè proprio quando comincia la lunga crisi della Prima Repubblica, per godere poi di un singolare quanto effimero trionfo al momento del suo tramonto, nel biennio terribile di Mani Pulite. Di quegli anni è peraltro la prima edizione del breve e fortunatissimo saggio di Norberto Bobbio intitolato per l’appunto “Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica”, pubblicato da Donzelli nel 1994. Giusto l’anno in cui si chiude Tangentopoli e comincia la stagione berlusconiana.

Nuovo inizio, brutta fine
Tra Berlinguer e Berlusconi c’è però Achille Occhetto, il crollo del comunismo e la fine del Pci. Ed è qui che molte suggestioni della “nuova sinistra” entrano nel lessico di quel partito che Berlinguer aveva definito non molti anni prima come “rivoluzionario e conservatore” (e cioè, almeno secondo le distinzioni classiche della democrazia anglosassone cui si rifaceva Bobbio, tutto meno che “di sinistra”). Del resto, non è un caso che persino al momento di abbandonare la strategia del compromesso storico per la linea dell’alternativa (con i socialisti) Berlinguer insistesse tuttavia nel definirla “alternativa democratica”. Giammai “alternativa di sinistra”.
E’ con la “svolta”, con il “nuovo inizio” e con la “carovana”, a partire dalla convinzione occhettiana che si potesse uscire dal comunismo “da sinistra”, che il termine comincia a riassumere in sé l’identità degli ex comunisti, orfani del comunismo. Ed è così, con la svolta e con il parallelo “sdoganamento della destra”, che all’inizio degli anni Novanta si pongono le basi del bipolarismo e del nuovo sistema. Dunque è solo in quel brevissimo intervallo tra la fine della Prima e l’inizio della Seconda Repubblica, si potrebbe dire, che in Italia la sinistra si chiama “sinistra” e la destra si chiama “destra”. Insomma, a ripercorrere tutto il dibattito sull’identità e il futuro della sinistra in ordine cronologico, si può quasi sostenere che la sinistra italiana sia un prodotto della sua crisi.
Può anche darsi, naturalmente, che un simile paradosso abbia una spiegazione semplicissima. Che si tratti soltanto di un gioco di parole. “Prima della Seconda Repubblica avevamo una nomenclatura politica molto più perspicua di questa banale dicotomia destra-sinistra, che significa assai poco, come dimostra il fatto che il popolo continua a dire sempre i comunisti, i democristiani, i fascisti…”, sostiene ad esempio Giuseppe Vacca. “Del resto – aggiunge il presidente dell’Istituto Gramsci tra il serio e il faceto – io stesso non so mica se sono di destra o di sinistra. So che sono un vecchio comunista togliattiano e gramsciano”.

Postcomunisti, postfascisti e posticci
D’altronde, come sostiene Roberto Gualtieri, che dell’Istituto Gramsci è vicedirettore, “tutti i movimenti politici degni di questo nome si sono sempre definiti a partire da chi rappresentavano e da cosa volevano, non sulla base di categorie politologiche, e non politiche, come destra e sinistra”. Non si tratta solo delle grandi famiglie ideologiche che hanno ispirato in tutto il mondo la nascita di partiti comunisti, fascisti, liberali o socialisti. “Basta pensare a laburisti e conservatori in Gran Bretagna, democratici e repubblicani negli Stati Uniti, socialdemocratici e cristianodemocratici in Germania”. E l’eccezione rappresentata da ‘Die Linke’ (“la sinistra”) non farebbe che confermare la regola, trattandosi di un partito nato in tempi recenti dalla confluenza tra l’ala sinistra della Spd e gli ex comunisti della Germania Est. In tutto il mondo, insomma, il ritorno della “sinistra” – non la sua scomparsa – sarebbe dunque un segno della sua crisi (o se si preferisce, della crisi dei suoi partiti tradizionali). “Tanto è vero – prosegue Gualtieri – che il Pci sceglie di chiamarsi ‘Partito democratico della sinistra’ proprio perché non vuole chiamarsi socialista né laburista”. Nel tentativo di preservare la propria “specificità”, il Pds finisce così per autorelegarsi in un limbo – quello postcomunista – da cui impiegherà anni, e molte sconfitte, a uscire. “Quella scelta è stata la più drammatica ammissione di assenza di idee e vaghezza di propositi: non si sapeva cosa si voleva essere, e dunque, per non dirsi né comunisti né socialdemocratici, ci si disse ‘della sinistra’ e basta”.
Resta il fatto che in Italia si è parlato di destra e sinistra dall’Unità fino alle soglie della Prima guerra mondiale. “Ma allora – osserva Gualtieri – quelle definizioni non distinguevano due veri partiti. Esprimevano soltanto un’articolazione interna alla classe dirigente liberale, che sarebbe venuta meno molto presto”. E cioè con l’ingresso nella vita politica e in Parlamento dei partiti popolari socialista e cattolico. Dunque non è così illogico che con il crollo del comunismo e la “morte delle ideologie”, quando tutti cominciano (o ricominciano) a dirsi liberali, tornino in campo le definizioni di destra e sinistra (e che a spingerle avanti sia un filosofo liberale e azionista come Bobbio). Ed è non meno significativo che a rispolverare quei termini, così poco amati dai partiti di origine, siano proprio le formazioni radicali che ne rivendicano l’eredità: “la Destra” di Francesco Storace e “la Sinistra, l’Arcobaleno” di Fausto Bertinotti (cui si richiama oggi, salvando perfettamente la simmetria dell’accostamento, il nascente “la Sinistra” di Nichi Vendola).
Date le premesse, non stupisce che il punto di vista dello storico Alessandro Campi, direttore della fondazione finiana FareFuturo, sia molto simile a quello dei suoi colleghi gramsciani. Anche per Campi, infatti, tutto comincia con la Seconda Repubblica. “Invece di metabolizzare in chiave storica la nostra tradizione politico-culturale – sostiene – abbiamo preferito liquidarla. Ed è iniziato un gioco spaventoso di rimozione: tutti si sono ricostruiti le proprie biografie immaginarie. E nell’ansia di ripartire da zero, si sono presentati con identità posticce. Di qui l’ossessiva ricerca di modelli esteri, da Aznar a Sarkozy, da Zapatero a Obama, per colmare il vuoto di idee e di progetti”. Fatica sprecata, oltretutto, perché “i modelli politici e gli stessi termini destra e sinistra significano sempre cose diverse, sulla base, per l’appunto, della storia nazionale”.
Dunque non è vero che destra e sinistra non significhino più nulla, come si usa dire nei libri e negli articoli sulla crisi dell’una o dell’altra. Restano però concetti relativi, quali sono stati sin dalla nascita, alla convenzione rivoluzionaria francese, dove furono coniati per designare semplicemente chi sedeva da un lato e chi dall’altro rispetto al presidente. “E perciò – fa notare Accame – i termini sono anche rovesciati”. La destra sta a sinistra, la sinistra a destra. Come dire che la crisi d’identità, la confusione, la perdita di significato che spesso si lamenta, in verità, è scritta nell’origine stessa di quelle parole.

La fine della Storia
Il problema dell’Italia di oggi, secondo Campi, è che ormai “tutti hanno rinnegato tutto”. E sono rimasti senza niente. “Il Pdl ambisce a essere una sorta di franchising del Ppe, che però a sua volta non esiste, non è che un contenitore. E lo stesso discorso varrebbe per il Pd con il Pse, ma con l’aggravante che per le sue divisioni interne non riesce nemmeno a raggiungere questo obiettivo minimo”. Ma forse non è nemmeno qui il punto. Certo è che dalla fine della Prima Repubblica a oggi tutti i partiti hanno preso a rivendicare al tempo stesso la propria radicale novità e la propria fortissima identità, come se fosse concepibile un’identità senza un passato. Nel Partito democratico alcuni sono arrivati persino a parlare di “un’identità declinata al futuro”. Ma sono casi-limite. E forse il cuore del problema, più che nei diversi partiti, sta proprio in quel lungo scaffale sulla crisi della sinistra di cui parlava Serra.
Il libro di Barenghi si conclude evocando “un’idea, che se non fosse diventata, chissà perché, una parolaccia, la definirei anche un’ideologia. Ossia una filosofia politica capace di ridare un senso alla sinistra del secondo millennio”. Il libro di Brancoli si chiude con una citazione di Massimo D’Alema sul rischio che la sinistra divenga in Italia una “minoranza strutturale”. E con una citazione dalemiana si chiude anche il libro di Berselli: “La sinistra è un male. Solo l’esistenza della destra rende questo male sopportabile”.
Ma che sia priva di idee, a rischio estinzione o semplicemente “un male”, comunque sempre e perpetuamente in crisi, praticamente dalla nascita, la sinistra resta tuttavia ancora là, proprio come la destra. Poi le si chiami come si vuole. A pensarci bene, la sinistra è in crisi più o meno da quando l’Italia è “in transizione”. Ma una transizione lunga tre decenni non è una transizione, e lo stesso si può dire delle crisi d’identità (ma della crisi d’identità dell’Italia parliamo un’altra volta).
Forse però si può dire anche per la sinistra quello che lo storico Giuliano Procacci, recentemente scomparso, scriveva nella sua “Storia degli italiani” a proposito dell’Italia. “Un luogo comune spesso ripetuto, per lo più da italiani – scriveva Procacci – è che l’Italia è il paese di Pulcinella. Ma Pulcinella non è, come sappiamo, soltanto un guitto, ma un personaggio, una ‘maschera’ di grande spessore e verità umana, che, come il suo confratello cinese AH Q, ha molto vissuto, molto visto e molto sofferto. A differenza però di AH Q, Pulcinella non muore mai, perché egli sa che tutto può accadere nella storia. Anche che la sua antica fame venga un giorno saziata”. Chissà.

Francesco Cundari, Il Foglio

Dio, Patria e Famiglia

Ministro per le Pari Opportunità Maria Rosaria (detta Mara) Carfagna: "I miei valori? Dio, Patria e Famiglia".

nella foto di profilo il Ministro (foto di repertorio).

Wednesday, November 19, 2008

Primarie Giovani 2008: 4 per le primarie

Qui il link al video di presentazione dei quattro candidati

Monday, November 17, 2008

Il Berlusconismo

Saturday, November 15, 2008

Col "seno" di poi



Sabato 21 Novembre, primarie dei Giovani Democratici.
Dalle ore 08:00 fino a mezzanotte. Sede PD di Follonica, via Portogallo.

Thursday, November 13, 2008

Tuesday, November 11, 2008

Saturday, November 8, 2008

Per i piccoli interessi di bottega bloccano lo sviluppo di questa città

Nell’ultimo Consiglio Comunale la maggioranza è stata costretta a rinviare la trattazione del Regolamento Urbanistico in quanto il consigliere di Forza Italia, nonché capogruppo, Aldo Valenza “ha deciso” che non era più “incompatibile”. Questo sulla scorta di un fantomatico parere legale che nessuno ha visto (al contrario il parere chiesto dall’Amministrazione Comunale è di dominio pubblico), mentre sono agli atti del Comune i “contributi” (peraltro legittimi) dell’aprile e dell’ottobre 2006 del cittadino Valenza, da lui firmati, in cui riferisce i terreni di sua proprietà proponendo soluzioni di trasformazione edilizia.
Se è legittimo il fatto che un cittadino pensi a tutelare i suoi legittimi interessi privati, risulta però incomprensibile come possa palesemente non tenere conto di una Legge Nazionale che dice in modo estremamente chiaro che nel caso sussista correlazione immediata e diretta tra il contenuto della delibera e gli interessi privati di un consigliere, esso non può prendere parte non solo “alla votazione” ma anche “alla discussione”.
Oltretutto il Pdl parla di un piano blindato, in cui non si è dato la possibilità di discutere: sanno benissimo di dire il falso, sono state fatte innumerevoli Commissioni Consiliari, iniziate quando ancora il Regolamento Urbanistico non era nemmeno una bozza di delibera, poi chiaramente come è giusto la maggioranza ha anche l’onere e le responsabilità delle scelte, ed è quello che abbiamo fatto. Non so con quale coraggio Valenza sostiene che il “Regolamento è in netto ritardo” dato che sono stati loro, con un colpo basso sulle soglie dell’illegalità, a rinviare ulteriormente la sua adozione. Certamente rifiutiamo la cultura del “Caimano” per cui la legalità e l’etica pubblica sono solo degli ostacoli alla propria capacità di espansione, e che il fine giustifica tutti i “mezzucci”.

Le famose quattro proposte sono assolutamente inconsistenti, e le risposte (sempre perfettibili ci mancherebbe!) ai problemi di sviluppo di questa città sono già contenute nel Regolamento, sia per quanto riguarda la nautica, che lo sviluppo turistico e la casa. Una cosa la sappiamo: che il quarto emendamento proposto dal centro destra riguarda anche i terreni di proprietà del “suo” consigliere, proponendo di fatto un aumento di volumetrie. Se non è conflitto di interessi questo!

È un peccato vedere una importante forza politica di opposizione, quale il Pdl, che dovrebbe esercitare fortemente il suo ruolo in modo tenace e costruttivo nell’interesse del bene della città, trasmettere al contrario l’immagine di una politica stanca, pavida, rinunciataria, che non ha il coraggio di entrare nel merito dei problemi, che si ferma alle questioni procedurali e ai cavilli burocratici. Una politica ripiegata su se stessa, incapace di vedere al di là del proprio naso, dei propri piccoli interessi di bottega. E sull’altare della difesa del proprio particolare interesse politico sono disposti a tutto, anche a bassezze che danneggiano pesantemente non il centrosinistra ma la città tutta. Danneggiano le imprese, gli artigiani, i commercianti, le associazioni del turismo, come quelle della nautica, gli albergatori come tutti i cittadini di Follonica che si Giovedì scorso si sono visti scippati del Regolamento Urbanistico per una evidente forzatura condotta peraltro in modo poco trasparente (ripeto: il parere legale nessuno lo ha mai visto!)

Andrea Benini
Segretario Pd

Thursday, November 6, 2008

Fausto Raciti, dichiarazione di intenti

Vittorio Foa, nell’ultimo giorno del secolo scorso, alla richiesta di quale risposta avrebbe dato ad un giovane che chiedeva della Sinistra, rispondeva che era meglio non descriverla, perchè probabilmente non ci avrebbe creduto, ma sarebbe stato più opportuno proporgli di cercarla insieme.

Noi pensiamo.

Noi vogliamo una giovanile costruita dalle idee libere, dalle passioni sincere, dagli interessi più vari, dai sogni meravigliosi di una generazione che vuole cambiare. In una parola: noi pensiamo.
E vogliamo che le nostre elaborazioni, i sogni e i progetti di questa nuova comunità nascano come realtà possibili e raggiungibili.

Siamo cresciuti in un decennio che ha visto le forze riformiste, per due volte, guidare l’Italia. Ci siamo interrogati sulle potenzialità e sui limiti di quella stagione politica e abbiamo vissuto la nascita del Partito Democratico come la grande speranza per continuare quel percorso, per cambiare il Paese.

Riallacciare il filo del discorso tra i Democratici e le giovani generazioni. Ecco il nostro scopo. Aiutare il Partito Democratico a farsi popolo.

Nel nostro essere democratici c’è l’ambizione di chi vuole trasformare l’Italia in un paese aperto, dinamico e giusto.

Dovunque viviamo è poco il tempo che ci divide dall’Europa. In un’ora possiamo andare in paesi dove alle giovani generazioni è permesso vivere in un contesto aperto e capace di far sviluppare le potenzialità di tutti.

Partendo da questa constatazione, proponendo la questione generazionale come priorità dell’azione politica dei riformisti, sentiamo di doverci impegnare nel dare vita ad una grande e autonoma organizzazione giovanile dei Democratici. Lo facciamo per costruire una comunità politica capace di farci correre nei problemi del domani, perchè il futuro diventi la bussola del nostro agire.

L’autonomia non è una scelta ma una necessità, essendo l’unico vero strumento per rappresentare la nostra generazione e rifuggire da logiche di cooptazione e di selezione casuale, educandoci, di fatto, a non rappresentare solo noi stessi.

Le giovani generazioni non rappresentano una classe o un determinato gruppo sociale. Sono anzi una realtà plurale e spesso sotterranea. E’ senza dubbio difficile oggi riuscire a dare una determinata rappresentanza a quella fascia di età che va dai 14 ai 29 anni che si trova a vivere in una società in continua evoluzione ed altamente frammentata. Ed è proprio per questo che i giovani democratici che immaginiamo, e per cui spenderemo noi stessi, devono essere un’organizzazione d’attacco, capace di stare tanto nelle scuole e nelle università, quanto nei luoghi di lavoro e nelle periferie. Saremo forti solo se rappresentativi di queste realtà e non di dinamiche che con giovani non hanno nulla a che fare.

Noi vogliamo rappresentare quegli studenti che vanno avanti solo con le proprie capacità, che evitano quelle scorciatoie di conoscenze e di benefici, e che con sacrificio completano con successo il proprio percorso scolastico tra mille difficoltà. Sono quelli che ogni mattina si svegliano all’alba e devono fare chilometri per poter andare a scuola. Quelli che studiano percorsi didattici vecchi di cinquant’anni come le scuole dove stanno.

Noi vogliamo rappresentare quegli universitari che attraverso il merito e il talento ridaranno speranza al futuro del nostro paese e che, allo stesso tempo, sono costretti a lavorare in nero per poter permettersi gli studi. Sono quelli che si trovano a fare i conti con il boom dei corsi di studio e con l’assenza di case dello studente. Sono quelli che lottano contro il numero chiuso e per costruire una vera cittadinanza universitaria.

Noi vogliamo rappresentare quei ricercatori che vorrebbero tornare in Italia ma che sono costretti a rimanere lontani e portare le loro competenze altrove. Sono quelli che scoprono le nuove frontiere della biotecnologie o i software che fanno girare i nostri computer.

Noi vogliamo rappresentare quei lavoratori che ogni giorno rischiano la vita. Perchè in Italia il lavoro non è un diritto ma un privilegio. Noi ci candidiamo a rappresentare quei giovani che ogni giorno devono fare i conti con un lavoro precario o inesistente. Sono quelli che non riescono a pagare le bollette e l’affitto, sono quelli che per questo restano a casa con mamma e papà fino a 35 anni.

Noi vogliamo rappresentare tutte le nuove forme di affettività. Perchè sono in troppi senza diritti.

Noi vogliamo rappresentare il diritto di chi verrà dopo di noi. Quello di vivere in un mondo sostenibile, dove tutti abbiano la consapevolezza che nulla è infinito e tutto è precario.

Noi vogliamo rappresentare tutte quelle ragazze e quei ragazzi che vivono nel nostro paese o ci sono nati. Perchè la cittadinanza è per tutti.

Noi vogliamo rappresentare tutti quei giovani che vogliono la pace e per questo la preparano. Sono quelli che aiutano i più deboli e che marciano da Perugia ad Assisi per esportare la solidarietà, l’uguaglianza e i diritti umani.
Noi vogliamo un’Italia aperta, dove tutti abbiano gli stessi diritti. Perchè un ragazzo non può essere discriminato per il colore della sua pelle, per il suo credo religioso, per il suo orientamento sessuale.
Noi vogliamo rappresentare chi vuole immaginare, costruire e vivere liberamente il proprio progetto di vita. Perchè questa è la sfida della nostra generazione.

La terra è di destra, L'universo è di sinistra


Se ancora c'è qualcuno che dubita che l'America non sia un luogo nel quale nulla è impossibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è tuttora vivo in questa nostra epoca, che ancora mette in dubbio il potere della nostra democrazia, questa notte ha avuto le risposte che cercava.

La risposta sono le code che si sono allungate fuori dalle scuole e dalle chiese con un afflusso che la nazione non aveva mai visto finora. La risposta sono le persone, molte delle quali votavano per la prima volta, che hanno atteso anche tre o quattro ore in fila perché credevano che questa volta le cose dovessero andare diversamente, e che la loro voce potesse fare la differenza.

VIDEO DISCORSO

La risposta è la voce di giovani e vecchi, ricchi e poveri, Democratici e Repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi d'America, gay, eterosessuali, disabili e non disabili: tutti americani che hanno inviato al mondo il messaggio che noi non siamo mai stati un insieme di Stati Rossi e Stati Blu. Noi siamo e sempre saremo gli Stati Uniti d'America.

La risposta è ciò che ha spinto a farsi avanti coloro ai quali per così tanto tempo è stato detto da così tante persone di essere cinici, impauriti, dubbiosi di quello che potevano ottenere mettendo di persona mano alla Storia, per piegarla verso la speranza di un giorno migliore.

È occorso molto tempo, ma stanotte, finalmente, in seguito a ciò che abbiamo fatto oggi, con questa elezione, in questo momento preciso e risolutivo, il cambiamento è arrivato in America.

Poco fa, questa sera ho ricevuto una telefonata estremamente cortese dal Senatore McCain.

Il Senatore McCain ha combattuto a lungo e con forza in questa campagna, e ha combattuto ancora più a lungo e con maggiore forza per il Paese che ama. Ha affrontato sacrifici per l'America che la maggior parte di noi nemmeno immagina e noi oggi stiamo molto meglio anche grazie al servizio reso da questo leader coraggioso e altruista. Mi congratulo con lui e con la governatrice Palin per tutto quello che hanno ottenuto, e non vedo l'ora di lavorare con loro per rinnovare nei prossimi mesi la promessa di questa nazione.

Voglio qui ringraziare il mio partner in questa avventura, un uomo che ha fatto campagna elettorale col cuore, parlando per le donne e gli uomini con i quali è cresciuto nelle strade di Scranton ...

... con i quali ha viaggiato da pendolare ogni giorno per tornare a casa propria nel Delaware, il vice-presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden.

Io non sarei qui questa sera senza il sostegno continuo della mia migliore amica degli ultimi sedici anni...

... la roccia della mia famiglia, l'amore della mia vita, la prossima first lady della nazione...

... Michelle Obama.

Sasha and Malia...

... vi amo entrambe moltissimo e ... vi siete guadagnate il cucciolo

... che verrà con noi alla Casa Bianca...

E mentre siamo qui e lei non è più con noi, so che mia nonna ci sta guardando, insieme a tutta la famiglia che ha fatto di me ciò che io sono. In questa sera così unica mi mancano tutti, e so che il mio debito verso di loro non è neppure quantificabile. A mia sorella Maya, mia sorella Alma, tutti i miei fratelli e le mie sorelle, voglio dire grazie per il sostegno che mi avete dato. Vi sono veramente molto grato.

Al manager della mia campagna David Plouffe...

... il protagonista senza volto di questa campagna che ha messo insieme la migliore campagna elettorale - credo - nella Storia degli Stati Uniti d'America.

al mio capo stratega David Axelrod...

... che è stato mio partner in ogni fase di questo lungo cammino... proprio il miglior team di una campagna elettorale mai messo insieme nella storia della politica...

... voi avete reso possibile tutto ciò, e io vi sarò eternamente grato per i sacrifici che avete affrontato per riuscirci.

Ma più di ogni altra cosa, non dimenticherò mai a chi appartiene veramente questa vittoria: appartiene a voi. Io non sono mai stato il candidato più ideale per questa carica. Non abbiamo mosso i primi passi nella campagna elettorale con finanziamenti o appoggi ufficiali. La nostra campagna non è stata pianificata nelle grandi sale di Washington, ma nei cortili di Des Moines, nei tinelli di Concord, sotto i portici di Charleston. È stata realizzata da uomini e donne che lavorano, che hanno attinto ai loro scarsi risparmi messi da parte per offrire cinque dollari, dieci dollari, venti dollari alla causa. Il movimento ha preso piede e si è rafforzato grazie ai giovani, che hanno rigettato il mito dell'apatia della loro generazione...

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.. che hanno lasciato le loro case e le loro famiglie per un'occupazione che offriva uno stipendio modesto e sicuramente poche ore di sonno; ai non più tanto giovani che hanno sfidato il freddo pungente e il caldo più soffocante per bussare alle porte di perfetti sconosciuti; ai milioni di americani che si sono adoperati come volontari, si sono organizzati, e hanno dimostrato che a distanza di oltre due secoli, un governo del popolo, fatto dal popolo e per il popolo non è sparito dalla faccia di questa Terra. Questa è la vostra vittoria...

So che quello che avete fatto non è soltanto vincere un'elezione e so che non l'avete fatto per me. Lo avete fatto perché avete compreso l'enormità del compito che ci sta di fronte. Perché anche se questa sera festeggiamo, sappiamo che le sfide che il futuro ci presenterà sono le più ardue della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria da un secolo a questa parte. Anche se questa sera siamo qui a festeggiare, sappiamo che ci sono in questo stesso momento degli americani coraggiosi che si stanno svegliando nei deserti iracheni, nelle montagne dell'Afghanistan dove rischiano la loro vita per noi.

Ci sono madri e padri che resteranno svegli dopo che i loro figli si saranno addormentati e si arrovelleranno chiedendosi se ce la faranno a pagare il mutuo o il conto del medico o a mettere da parte abbastanza soldi per pagare il college. Occorre trovare nuova energia, creare nuovi posti di lavoro, costruire nuove scuole. Occorre far fronte a nuove sfide e rimettere insieme le alleanze.

La strada che ci si apre di fronte sarà lunga. La salita sarà erta. Forse non ci riusciremo in un anno e nemmeno in un solo mandato, ma America! Io non ho mai nutrito maggiore speranza di quanta ne nutro questa notte qui insieme a voi. Io vi prometto che noi come popolo ci riusciremo!


PUBBLICO: Yes we can! Yes we can! Yes we can!

OBAMA: Ci saranno battute d'arresto e false partenze. Ci saranno molti che non saranno d'accordo con ogni decisione o ogni politica che varerò da Presidente e già sappiamo che il governo non può risolvere ogni problema. Ma io sarò sempre onesto con voi in relazione alle sfide che dovremo affrontare. Vi darò ascolto, specialmente quando saremo in disaccordo. E soprattutto, vi chiedo di unirvi nell'opera di ricostruzione della nazione nell'unico modo con il quale lo si è fatto in America per duecentoventi anni, ovvero mattone dopo mattone, un pezzo alla volta, una mano callosa nella mano callosa altrui.

Ciò che ha avuto inizio ventuno mesi fa, nei rigori del pieno inverno, non deve finire in questa notte autunnale. La vittoria in sé non è il cambiamento che volevamo, ma è soltanto l'opportunità per noi di procedere al cambiamento. E questo non potrà
accadere se faremo ritorno allo stesso modus operandi.

Il cambiamento non può aver luogo senza di voi.
Troviamo e mettiamo insieme dunque un nuovo spirito di patriottismo, di servizio e di responsabilità, nel quale ciascuno di noi decida di darci dentro, di lavorare sodo e di badare non soltanto al benessere individuale, ma a quello altrui. Ricordiamoci che se mai questa crisi finanziaria ci insegna qualcosa, è che non possiamo avere una Wall Street prospera mentre Main Street soffre: in questo Paese noi ci eleveremo o precipiteremo come un'unica nazione, come un unico popolo.

Resistiamo dunque alla tentazione di ricadere nelle stesse posizioni di parte, nella stessa meschineria, nella stessa immaturità che per così tanto tempo hanno avvelenato la nostra politica. Ricordiamoci che c'è stato un uomo proveniente da questo Stato che ha portato per la prima volta lo striscione del partito Repubblicano alla Casa Bianca, un partito fondato sui valori della fiducia in sé, della libertà individuale, dell'unità nazionale. Sono questi i valori che abbiamo in comune e mentre il partito Democratico si è aggiudicato una grande vittoria questa notte, noi dobbiamo essere umili e determinati per far cicatrizzare le ferite che hanno finora impedito alla nostra nazione di fare passi avanti.

Come Lincoln disse a una nazione ancora più divisa della nostra, "Noi non siamo nemici, ma amici, e anche se le passioni possono averlo allentato non dobbiamo permettere che il nostro legame affettivo si spezzi". E a quegli americani il cui supporto devo ancora conquistarmi, dico: forse non ho ottenuto il vostro voto, ma sento le vostri voci, ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro presidente.

A coloro che ci guardano questa sera da lontano, da oltre i nostri litorali, dai parlamenti e dai palazzi, a coloro che in vari angoli dimenticati della Terra si sono ritrovati in ascolto accanto alle radio, dico: le nostre storie sono diverse, ma il nostro destino è comune e una nuova alba per la leadership americana è ormai a portata di mano.

A coloro che invece vorrebbero distruggere questo mondo dico: vi sconfiggeremo. A coloro che cercano pace e tranquillità dico: vi aiuteremo. E a coloro che si chiedono se la lanterna americana è ancora accesa dico: questa sera noi abbiamo dimostrato ancora una volta che la vera forza della nostra nazione non nasce dalla potenza delle nostre armi o dal cumulo delle nostre ricchezze, bensì dalla vitalità duratura dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e tenace speranza.

Perché questo è il vero spirito dell'America: l'America può cambiare. La nostra unione può essere realizzata. E quello che abbiamo già conseguito deve darci la speranza di ciò che possiamo e dobbiamo conseguire in futuro.

In queste elezioni si sono viste molte novità e molte storie che saranno raccontate per le generazioni a venire. Ma una è nella mia mente più presente di altre, quella di una signora che ha votato ad Atlanta. Al pari di molti altri milioni di elettori anche lei è stata in fila per far sì che la sua voce fosse ascoltata in questa elezione, ma c'è qualcosa che la contraddistingue dagli altri: Ann Nixon Cooper ha 106 anni. È nata a una sola generazione di distanza dalla fine della schiavitù, in un'epoca in cui non c'erano automobili per le strade, né aerei nei cieli. A quei tempi le persone come lei non potevano votare per due ragioni fondamentali, perché è una donna e per il colore della sua pelle.

Questa sera io ripenso a tutto quello che lei deve aver visto nel corso della sua vita in questo secolo in America, alle sofferenze e alla speranza, alle battaglie e al progresso, a quando ci è stato detto che non potevamo votare e alle persone che invece ribadivano questo credo americano: Yes, we can.

Nell'epoca in cui le voci delle donne erano messe a tacere e le loro speranze soffocate, questa donna le ha viste alzarsi in piedi, alzare la voce e dirigersi verso le urne. Yes, we can.

Quando c'era disperazione nel Dust Bowl (la zona centro meridionale degli Stati Uniti divenuta desertica a causa delle frequenti tempeste di vento degli anni Trenta, NdT) e depressione nei campi, lei ha visto una nazione superare le proprie paure con un New Deal, nuovi posti di lavoro, un nuovo senso di ideali condivisi. Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: Quando le bombe sono cadute a Pearl Harbor, e la tirannia ha minacciato il mondo, lei era lì a testimoniare in che modo una generazione seppe elevarsi e salvare la democrazia. Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: Era lì quando c'erano gli autobus di Montgomery, gli idranti a Birmingham, un ponte a Selma e un predicatore di Atlanta che diceva alla popolazione : "Noi supereremo tutto ciò". Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: Un uomo ha messo piede sulla Luna, un muro è caduto a Berlino, il mondo intero si è collegato grazie alla scienza e alla nostra inventiva. E quest'anno, per queste elezioni, lei ha puntato il dito contro uno schermo e ha votato, perché dopo 106 anni in America, passati in tempi migliori e in ore più cupe, lei sa che l'America può cambiare. Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: America, America: siamo arrivati così lontano. Abbiamo visto così tante cose. Ma c'è molto ancora da fare. Quindi questa sera chiediamoci: se i miei figli avranno la fortuna di vivere fino al prossimo secolo, se le mie figlie dovessero vivere tanto a lungo quanto Ann Nixon Cooper, a quali cambiamenti assisteranno? Quali progressi avremo fatto per allora?
Oggi abbiamo l'opportunità di rispondere a queste domande. Questa è la nostra ora. Questa è la nostra epoca: dobbiamo rimettere tutti al lavoro, spalancare le porte delle opportunità per i nostri figli, ridare benessere e promuovere la causa della pace, reclamare il Sogno Americano e riaffermare quella verità fondamentale: siamo molti ma siamo un solo popolo. Viviamo, speriamo, e quando siamo assaliti dal cinismo, dal dubbio e da chi ci dice che non potremo riuscirci, noi risponderemo con quella convinzioni senza tempo e immutabile che riassume lo spirito del nostro popolo: Yes, We Can.

Grazie. Dio vi benedica e possa benedire gli Stati Uniti d'America.

Tuesday, November 4, 2008

Dario Marini, dichiarazione di intenti

1. Il nostro obbiettivo è la credibilità vogliamo essere liberi e autonomi vogliamo essere presenti nella società e protagonisti nelle idee.

2. Siamo per risolvere i problemi e non per affrontarli per preconcetti idelogici.
3 .Riconosciamo di dove essere responsabili nei confronti della collettività. Qualche esempio: tutelare l’ambiente, servizio civile obbligatorio, volontariato per biblioteche notturne.
4.Vogliamo una struttura federale dove il principio di sussidiarietà è fondamentale, diciamo NO al centralismo democratico, SI alla territorialità e autonomia.
5.Vogliamo guardare fuori dai recinti perché noi siamo i giovani italiani che vivono nella società contemporanea.
6. Noi siamo il Pd del 2020, crediamo in un un percorso formativo concreto, serio e critico.
7. Siamo per un’elaborazione di idee forti, alternative al centrodestra, coraggiose e in grado di sperimentare linguaggi e forme aggregative nuove.
8.Vogliamo studiare, viaggiare, progettare la società contemporanea, elaborare la globalizzazione e nuovi modelli di sicurezza sociale.
9.Vogliamo politiche sociali in grado di permettere a tutti i giovani, ragazzi e ragazze di poter uscire di casa a 18 anni e di progettare la propria vita in modo autonomo e indipendente.
10. Vogliamo un linguaggio nuovo, sperimentare un nuovo modo di essere giovani nel Partito Democratico.