Era l’ora che qualcuno disseppellisse dalla memoria la formidabile saga dei Lorena. La dinastia che, per più di un secolo, resse il Granducato di Toscana con una visione così moderna e illuminata che, a tutt’oggi, resta esempio di buongoverno per quella regione e per il mondo. Lo fa Pisa, città che, per il suo clima mite, fu scelta dalla famiglia per trascorrere, dal 1766 in poi, il periodo invernale. Città che, come molte altre della Toscana, ebbe dal Granducato lorenese straordinari benefici e registrò mutamenti epocali. [...]
La personalità cardine della vicenda toscana dei Lorena fu senza dubbio Pietro Leopoldo che, con straordinaria lungimiranza, intervenne a tutto campo su moltissimi aspetti della vita politica, sociale ed economica determinando veri e propri stravolgimenti di progresso. Il Granduca avviò una politica liberale che intervenne materialmente sul territorio toscano con la bonifica delle paludi della Maremma e della Val di Chiana. Creò per lo studio dell’agricoltura l’Accademia dei Georgofili che è a tutt’oggi attiva. Liberalizzò il commercio del grano abolendo le annone. Sciolse d’imperio le corporazioni medievali che, come sappiamo, qualcuno nei secoli successivi ha badato bene di ripristinare. Per dare forza all’attività industriale abolì le dogane – garantendo però alle sue terre un’adeguata protezione – e calmierò le tasse. Per favorire i commerci intervenne anche in campo ecclesiastico abolendo vincoli, cancellando conventi e favorendo il potere religioso locale per arginare lo strapotere vaticano. Ma le novità più significative introdotte da Pietro Leopoldo riguardarono l'abolizione degli ultimi retaggi giuridici del medioevo: in un sol colpo abolì il reato di lesa maestà, la confisca dei beni e, in clamoroso anticipo sui tempi, la tortura e la pena di morte. Grazie al varo del nuovo codice penale del 1786, la Toscana sarà infatti il primo stato nel mondo ad abolire la pena capitale.
“Sovrani nel giardino d’Europa – Pisa e i Lorena” Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale, 20 settembre -14 dicembre 2008.
Da Il Foglio