Sunday, December 9, 2007

Bamboccioni o sfigati? Il dilemma generazionale visto da uno di loro

Riporto uno stralcio dell'articolo appararso su "Il Foglio" del 7/11/2007 di Stefano Da Empoli (Presidente I-Com).


Se anche i banchieri centrali, più disposti alla valutazione delle dinamiche economiche che all’analisi dei profili sociali, si occupano della questione giovanile in Italia, verrebbe da pensare che il tema generazionale sia davvero molto serio. E’ stato il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, in una tradizionalmente austera audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nella quale viene illustrata la Finanziaria, ad inaugurare il nuovo trend, adoperando l’espressione ormai cult di “bamboccioni”. Termine che serve a qualificare l’attitudine degli under 35 italiani, e non solo, a rimanere abbarbicati alle loro famiglie di origine, non tanto e non solo per attestare fino in fondo il loro affetto nei confronti dei genitori ma per continuare inerzialmente ad usufruire delle comodità a loro garantite a costo zero. Una forma di occupazione gratuita di proprietà altrui con tanto di servizio alberghiero incluso che il Governo vorrebbe cercare di estinguere con provvedimenti, come le agevolazioni fiscali sugli affitti, contenuti in Finanziaria. [...]
La domanda che a questo punto sorge spontanea, sulla base delle considerazioni solo apparentemente contraddittorie di Draghi e Padoa-Schioppa, è se i giovani italiani siano più bamboccioni o più sfigati. Cioè, se debbano prevalentemente piangere loro stessi oppure prendersela con i loro padri o, tutt’al più, con il destino cinico e baro. Il vittimismo è certo facile e trova anche più di qualche giustificazione nei dati oggettivi, come quelli citati dal Governatore della Banca d’Italia e come, ad esempio, i numeri delle pensioni che riceverà la generazione che oggi ha meno di quarant’anni. Poi, però, una certa simpatia verso le loro ragioni, che pure potrebbe starci, si tramuta in rabbia e sconcerto se si guarda a quello che pensano e fanno o, forse peggio, non pensano e non fanno i ventenni e i trentenni per reagire alla loro condizione
poco invidiabile. Come si chiede Francesco Delzìo nel suo recentissimo pamphlet “Generazione Tuareg”(Rubbettino editore), come è possibile che i giovani siano sempre “pronti a scendere in piazza, puntualmente, contro se stessi”? potrebbe avere il suo fascino. Peccato che, come sostengono Tito Boeri e Vincenzo Galasso in un altro libro uscito da poco, “Contro i giovani” (Mondadori), la realtà sia probabilmente un’altra, cioè quella di un patto strisciante tra le generazioni fondato su una visione tribale della società, dove la famiglia fa impropriamente il mestiere di un welfare state che spende troppo e funziona molto poco. Una verità amara che peraltro si nutre della totale sprovvedutezza dei giovani nel mettere a fuoco le questioni sui quali si gioca il loro futuro. [...]