Friday, January 29, 2010

Enrico Rossi in Maremma

Thursday, January 28, 2010

Wednesday, January 27, 2010

Arrivano i mostri

Con il senatore Dell'Utri esiste un rapporto di grande cordialità e di stima reciproca. La mia impressione su di lui è estremamente positiva: penso sia una persona pacata, sensibile e di spessore" (Nicola Latorre, DS, vice-capogruppo dell'Ulivo al Senato,Corriere della Sera, 9 marzo 2007)

Che sia il caso di fare un test psico-attitudinale prima di dare le tessere?!

Lupi vestiti da agnelli



L'ex-vescovo di Grosseto, Monsignor Giacomo Babini, si è lasciato andare ad un intervento che oserei dire "saguigno" contro Nichi Vendola, gli omosessuali in genere e l'Islam.
Per la lettura integrale vi rimando al sito http://www.pontifex.roma.it.

Questo mi fa pensare che in fondo certe persone perdono il pelo ma non il vizio. Dovrebbe farci riflettere prima di pensare a fantomatici laboratori locali con l'UDC. L'intervento mi ricorda molto il "Rocco Horror Picture Show" (come scrisse un giornale danese) di Buttiglione in Europa.

In fondo non sarà un caso se il film "Agorà" di Pedro Amenabar, con tanto di cast stellare (è presente fra gli altri anche Rachel Weisz), distribuito in tre continenti, non ha ancora trovato un distributore in Italia. Perchè? Perchè parla della storia di Ipazia di Alessandria, la cui storia vi invito a leggere su questo link di Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Ipazia_di_Alessandria). Uno dei tanti fantasmi che la Chiesa Cattolica vorrebbe lasciarsi alle spalle ed in Italia ci riesce facilmente come al solito.
Guardatevi il trailer inglese sopra, ne vale la pena.

Tuesday, January 26, 2010

da http://www.repubblica.it

Prodi: "La gente mi chiede
chi comanda nel Pd"

di MASSIMO GIANNINI


Prodi: "La gente mi chiede chi comanda nel Pd"
Bastonato in Puglia. Umiliato a Bologna. Spiazzato nel Lazio. Confuso ovunque. Romano Prodi, padre nobile del Partito democratico, osserva da lontano i tormenti della sua "creatura". "Tre settimane fa ero a Campolongo, a sciare. In fila per lo skilift la gente mi fermava e mi chiedeva solo questo: ma chi comanda, nel Pd?". Bella domanda. Il Professore non ha la risposta. E per la verità neanche la cerca: "Ormai sono fuori, e quando si è fuori si è fuori...", dice l'ex premier. Non si sogna nemmeno di "sparare sul quartier generale", una delle abitudini preferite della sinistra italiana di ieri e di oggi. Proprio lui, poi, l'unico che è riuscito a battere Berlusconi due volte, anche se poi non è riuscito a governare come avrebbe voluto. Ma la domanda resta, in tutta la sua drammatica semplicità. Chi comanda, nel Pd? Il buon Bersani, fresco segretario pragmatico e onesto, ieri ha messo la sua faccia sulla sconfitta pugliese e sul pasticcio bolognese. Ma il suo limite, in questa prima fase di gestione del partito, è stato un esercizio timido e intermittente della leadership. Quello che nella campagna elettorale delle primarie nazionali era stato il suo miglior pregio (la sana realpolitik emiliana, la forza operosa e tranquilla, la capacità di rassicurare gli elettori) nella campagna elettorale per le primarie è diventato il suo peggior difetto. Molte parole di buon senso, ma pochi messaggi che trascinano. Molte iniziative diffuse sul territorio, ma poca "gestione" delle partite locali complesse. Così, a tratti, ha alimentato il sospetto di lasciarsi "etero-dirigere": dalla "volpe del tavoliere" in Puglia, dalla Bonino nel Lazio, da Casini un po' ovunque.


Ieri, in direzione, nessuno l'ha processato per questo. La minoranza veltroniana e franceschiniana non ha infierito, ed ha evitato di ricadere nel vizio tafazziano preferito dal centrosinistra: il regolamento dei conti. Ma in conferenza stampa Bersani era solo, a fronteggiare le domande dei cronisti. Dov'era Massimo D'Alema, che in Puglia ha tentato con l'Udc l'ennesimo esperimento di laboratorio, spazzato via con le provette neo-centriste e gli alambicchi neo-proporzionalisti dai 200 mila elettori che hanno tributato un plebiscito a Nichi Vendola? E dov'era Enrico Letta, che il 4 gennaio in un Largo del Nazareno ancora deserto per le vacanze di Capodanno annunciò il no alle primarie e la candidatura unica di Francesco Boccia? Non pervenuti. E così l'impressione, che è di Prodi ma non certo solo di Prodi, è che alla fine il partito sia in realtà "sgovernato", e un po' in balia di se stesso. Il Professore non lo dice, e "per correttezza" (come ripete in continuazione) si guarda bene dal dare giudizi sulle strategie politiche di questi ultimi mesi e sulle scelte del segretario. Lui, tra l'altro, Bersani l'ha anche sostenuto e votato alle primarie. Ma il Pd è pur sempre il "suo" partito. Lo ha sognato e alla fine fondato. Vederlo ridotto così, oggi, gli fa male. "Sa cosa mi dispiace, soprattutto? È vedere che ormai sembra sempre più debole la ragione dello stare insieme...". Come dire: quello che manca è il vecchio "spirito dell'Ulivo", quel mantra evocato ossessivamente fino a due anni fa, a volte quasi come un esorcismo, che spinse e convinse i vertici di Ds e Margherita ad uscire dalla casa dei padri, e a fondere i due riformismi, quello di matrice laico-socialista e quello di matrice democratico-cristiana.

Non che nelle stagioni passate quello "spirito" abbia soffiato così impetuoso. Ma è vero che oggi appare impalpabile. Quasi svanito, come dimostrano le piccole e ingrate diaspore di queste settimane, dalla api rutelliane e agli altri "centrini" cattolici. Dov'è finito il progetto? Dov'è finita "l'unità" che gli elettori invocano da anni? Di nuovo: Prodi non ha la risposta. Si limita a riproporre le domande. E con lui se le ripropone l'eroico "popolo del centrosinistra", che si mette diligente in fila, con un euro in mano, in ogni fredda domenica in cui la pur esecrata "nomenklatura" chiama: quale autodafè deve ancora accadere, prima che le magnifiche sorti e progressive del grande "partito riformista di massa" si riducano in rovine fumanti?

Per il Professore, stavolta, c'è un dolore nel dolore. La spina nel cuore si chiama Bologna. Nelle dimissioni di Delbono c'è anche un po' di debacle prodiana. Era stato l'ex premier, a lanciare "l'amico Flavio" verso la candidatura a sindaco. Per forza, oggi, la sua uscita di scena brucia due volte. Prodi prova a girarla in positivo: "Prima di tutto, analizziamo la dimensione del problema. Di cosa si sta parlando? Non si distrugge la vita di un uomo, come è accaduto in questi giorni, per una storia come quella, per una manciata di euro...". E se gli fai notare lo "scandaletto", i due bancomat e il "cha-cha-cha della segretaria", il Professore non arretra. "Certo, doveva essere più accorto. Ma in questi giorni nessuno si è limitato a dire questo: gli hanno dato del delinquente, invece. Hanno parlato di limite etico travolto. Eppure altrove, per altri amministratori locali di centrodestra che ne hanno combinate di tutti i colori, nessuno ha gridato allo scandalo, e si a' mai sognato di chiedere le dimissioni. Allora queste cose le vogliamo dire sì o no?". Appunto, le dimissioni. Proprio a Bologna, che già era uscita un po' malconcia dall'era Cofferati. "Ma anche le dimissioni, vede, confermano la differenza di stile di Delbono: ha compiuto un atto di responsabilità verso la città. Ora sarà più libero di dimostrare la sua innocenza, della quale sono non sicuro, ma sicurissimo. Non era obbligato a dimettersi, ma l'ha fatto. Ha messo il bene comune sopra a tutto, prima delle convenienze personali. Chi altri l'avrebbe fatto? La Moratti, forse?".

E ora? Che ne sarà di Palazzo Accursio? Nei boatos, che riecheggiano sotto i portici del centro storico e nei conciliaboli del Bar Ciccio, c'è solo un nome che rimbalza, per la successione a Delbono. Ed è proprio il suo: Romano Prodi. Possibile? Il Professore ridacchia, e quasi sibila in uno slang emiliano che si fa più stretto: "Ma non ci pensi neanche un momento... Gliel'ho già detto: in politica o si sta dentro, o si sta fuori. E io dentro ci sono già stato anche troppo. Mi riposo, leggo, studio molto, faccio le mie lezioni qui in Italia e in Cina. E sono sereno così". Ma il Pd, Professore: che ne sarà del Pd? "Non lo so, speriamo bene...". Di più non gli si estorce, all'uomo che tuttora molti continuano a considerare un possibile "salvatore della patria", per Bologna e non solo. "Eh no - conclude lui - salvatore della patria no! Va bene una volta, va bene due volte, ma tre volte proprio non si può. Grazie tante, ma abbiamo già dato...".
m.gianninirepubblica.it

Monday, January 25, 2010

Grazie Puglia


La Puglia ha dato a questo partito una grande lezione di umiltà. Ci ha insegnato che i governatori di successo non si mettono da parte. Che non è possibile chiedere una legge elettorale con le preferenze, quando si calano candidati perdenti e raccomandati dall'alto. Che la segreteria di cui si è circondato Bersani non è assolutamente in grado di affrontare le sfide che il Berlusconismo ci pone davanti.
Non possiamo rovesciare questo governo autoritario ed illiberale essendo a nostra volta autoritari ed illiberali.

Ma cosa più importante di tutte, ci ha ricordato a dove dobbiamo guardare per le alleanze. Tendendo una mano SD e IdV ci seguirebbero in ogni regione, supportandoci con le loro tutt'altro che modeste forze.
E' a loro che dobbiamo guardare, e non a quelle facce da quaresima dell'UDC, talmente impegnati a baciar pile a destra e a manca, chinati sui loro inginocchiatoi che si sono scordati che aspetto abbia l'orizzonte.
Sono solo delle prostitute della politica che si vendono a destra e a manca regione per regione al miglior offerente e di cui è impossibile fidarci.
Sono espressione di una delle organizzazioni più incivili ed illiberali del nostro tempo, che lavora per divorare la nostra società civile dall'interno. Espressione di tutto quello che non è lo Stato liberale che in Italia dovremmo finalmente ricostruire.

L'elettorato di SD e IdV invece guarda al PD come una guida, sono partit seri e maturi che possono aiutarci a costruire col loro capitale umano un futuro migliore. Insieme possiamo convincere e incominciare a costruire un'Italia che possa andare verso nuove sfide a testa alta, invece di continuare a ridere "sotto i baffi".

Wednesday, January 20, 2010

La morte della seconda repubblica



Cara Signora, ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente. Non dimentico il rapporto che fin dagli anni '70 ebbi con lui per il ruolo che allora svolgevo nella vita politica e parlamentare. Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni anche sul piano istituzionale. E non dimentico quel che Bettino Craxi, giunto alla guida del Partito Socialista Italiano, rappresentò come protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea.

Ma non è su ciò che oggi posso e intendo tornare.

Per la funzione che esercito al vertice dello Stato, mi pongo, cara Signora, dal solo punto di vista dell'interesse delle istituzioni repubblicane, che suggerisce di cogliere anche l'occasione di una ricorrenza carica - oltre che di dolorose memorie personali - di diversi e controversi significati storici, per favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano.

E' stato parte di quel cammino l'esplodere della crisi del sistema dei partiti che aveva retto fino ai primi anni '90 lo svolgimento della dialettica politica e di governo nel quadro della Costituzione. E ne è stato parte il susseguirsi, in un drammatico biennio, di indagini giudiziarie e di processi, che condussero, tra l'altro, all'incriminazione e ad una duplice condanna definitiva in sede penale dell'on. Bettino Craxi, già Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Fino all'epilogo, il cui ricordo è ancora motivo di turbamento, della malattia e della morte in solitudine, lontano dall'Italia, dell'ex Presidente del Consiglio, dopo che egli decise di lasciare il paese mentre erano ancora in pieno svolgimento i procedimenti giudiziari nei suoi confronti.

Si è trattato - credo di dover dire - di aspetti tragici della storia politica e istituzionale della nostra Repubblica, che impongono ricostruzioni non sommarie e unilaterali di almeno un quindicennio di vita pubblica italiana. Non può dunque venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità dell'on. Craxi sanzionate per via giudiziaria la considerazione complessiva della sua figura di leader politico, e di uomo di governo impegnato nella guida dell'Esecutivo e nella rappresentanza dell'Italia sul terreno delle relazioni internazionali.

Il nostro Stato democratico non può consentirsi distorsioni e rimozioni del genere. Considero perciò positivo il fatto che da diversi anni attraverso importanti dibattiti, convegni di studio e pubblicazioni, si siano affrontate, tracciando il bilancio dell'opera di Craxi, non solo le tematiche di carattere più strettamente politico, relative alle strategie della sinistra, alle dinamiche dei rapporti tra i partiti maggiori e alle prospettive di governo, ma anche le tematiche relative agli indirizzi dell'attività di Craxi Presidente del Consiglio.

Di tale attività mi limito a considerare solo un aspetto, per mettere in evidenza come sia da acquisire al patrimonio della collocazione e funzione internazionale dell'Italia la conduzione della politica estera ed europea del governo Craxi: perchè ne venne un apporto incontestabile ai fini di una visione e di un'azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d'oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa. Le scelte di governo compiute negli anni 1983-87 videro un rinnovato, deciso ancoraggio dell'Italia al campo occidentale e atlantico, anche di fronte alle sfide del blocco sovietico sul terreno della corsa agli armamenti ; e videro nello stesso tempo un atteggiamento "più assertivo" del ruolo dell'Italia nel rapporto di alleanza - mai messo peraltro in discussione - con gli Stati Uniti.

In tale quadro si ebbe in particolare un autonomo dispiegamento della politica estera italiana nel Mediterraneo, con un coerente, equilibrato impegno per la pace in Medio Oriente. Il governo Craxi e il personale intervento del Presidente del Consiglio si caratterizzarono inoltre per scelte coraggiose volte a sollecitare e portare avanti il processo d'integrazione europea, come apparve evidente nel semestre di presidenza italiana (1985) del Consiglio Europeo.

Né si può dimenticare l'intesa, condivisa da un arco assai ampio di forze politiche, sul nuovo Concordato: la cui importanza è stata pienamente confermata dalla successiva evoluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa.

Numerosi risultano in sostanza gli elementi di condivisione e di continuità che da allora sono rimasti all'attivo di politiche essenziali per il profilo e il ruolo dell'Italia. In un bilancio non acritico ma sereno di quei quattro anni di guida del governo, deve naturalmente trovar posto il discorso sulle riforme istituzionali che aveva rappresentato, già prima dell'assunzione della Presidenza del Consiglio, l'elemento forse più innovativo della riflessione e della strategia politica dell'on. Craxi.

Nel quadriennio della sua esperienza governativa quel discorso tuttavia non si tradusse in risultati effettivi di avvio di una revisione della Costituzione repubblicana. La consapevolezza della necessità di una revisione apparve condivisa attraverso i lavori di una impegnativa Commissione bicamerale di studio (presieduta dall'on. Bozzi): ma alle conclusioni, peraltro discordi, di quella Commissione nel gennaio 1985 non seguì alcuna iniziativa concreta, di sufficiente respiro, in sede parlamentare. Si preparò piuttosto il terreno per provvedimenti che avrebbero visto la luce più tardi, come la legge ordinatrice della Presidenza del Consiglio e, su un diverso piano, significative misure di riforma dei regolamenti parlamentari.

Tra i problemi che nell'Italia repubblicana si sono trascinati irrisolti, c'è certamente quello del finanziamento della politica. Si era tentato di darvi soluzione con una legge approvata nel 1974, a più di venticinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione. Ma quella legge mostrò ben presto i suoi limiti, in particolare per la debolezza dei controlli che essa aveva introdotto. Attorno al sistema dei partiti, che aveva svolto un ruolo fondamentale nella costruzione di un nuovo tessuto democratico nell'Italia liberatasi dal fascismo, avevano finito per diffondersi "degenerazioni, corruttele, abusi, illegalità", che con quelle parole, senza infingimenti, trovarono la loro più esplicita descrizione nel discorso pronunciato il 3 luglio 1992 proprio dall'on. Craxi alla Camera, nel corso del dibattito sulla fiducia al governo Amato.

Ma era ormai in pieno sviluppo la vasta indagine già da mesi avviata dalla Procura di Milano e da altre. E dall'insieme dei partiti e dei loro leader non era venuto tempestivamente un comune pieno riconoscimento delle storture da correggere, nè una conseguente svolta rinnovatrice sul piano delle norme, delle regole e del costume. In quel vuoto politico trovò, sempre di più, spazio, sostegno mediatico e consenso l'azione giudiziaria, con un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia. L'on. Craxi, dimessosi da segretario del PSI, fu investito da molteplici contestazioni di reato. Senza mettere in questione l'esito dei procedimenti che lo riguardarono, è un fatto che il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi ammessi e denunciati in termini generali e politici dal leader socialista era caduto con durezza senza eguali sulla sua persona. Nè si può peraltro dimenticare che la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo - nell'esaminare il ricorso contro una delle sentenze definitive di condanna dell'on. Craxi - ritenne, con decisione del 2002, che, pur nel rispetto delle norme italiane allora vigenti, fosse stato violato il "diritto ad un processo equo" per uno degli aspetti indicati dalla Convenzione europea.

"Alle regole del giusto processo, l'Italia si adeguò, sul piano costituzionale, con la riforma dell'art. 11 nel 1999. E quei principi rappresentano oggi un riferimento vincolante per la legislazione nazionale e per l'amministrazione della giustizia in Italia. Si deve invece parlare di una persistente carenza di risposte sul tema del finanziamento della politica e della lotta contro la corruzione nella vita pubblica. Quel tema non poteva risolversi solo per effetto del cambiamento (determinatosi nel 1993-94) delle leggi elettorali e del sistema politico, e oggi, in un contesto politico-istituzionale caratterizzato dalla logica della democrazia dell'alternanza, si è ancora in attesa di riforme che soddisfino le esigenze a cui ci richiama la riflessione sulle vicende sfociate in un tragico esito per l'on. Bettino Craxi.

E' questo, cara Signora, il contributo che ho ritenuto di dover dare al ricordo della figura e dell'opera di suo marito, per l'impronta non cancellabile che ha lasciato in un complesso intreccio di luci e ombre, nella vita del nostro Stato democratico.

Con i più sinceri e cordiali saluti,

Giorgio Napolitano"

Il dolore umano per la perdita di un conoscente/amico/quello che vi pare è sempre una cosa che deve essere rispettata. Ma rappresentare le istituzioni non è un hobby e non può essere interpretato secondo i sentimenti personali. Questi sono legittimi, ma quando non devono essere anteposti al senso dello Stato da chi quello Stato dovrebbe rappresentare.
Se essere di destra, come diceva Montanelli, è "avere senso dello Stato" Napolitano è di sinistra di sicuro.
Il malleabile signor "Firmo-al-primo-colpo" ha dimostrato ancora una volta di che pasta (frolla) è fatto.
Con questa lettera, tanto encomiabile sul piano umano, quanto inappropriata sul piano istituzionale, ha delegittimato quanto restava da delegittimare della Seconda Repubblica e ha mostrato una totale mancanza di rispetto per il lavoro della magistratura, di cui dovrebbe essere a capo. Ma soprattutto fa capire che i fini di Craxi ne giustificavano i mezzi.
Mi ricorda un Luca Romagnoli di qualche anno fa, che a SKY TG24 diceva che Hitler era uno statista incappato in gravi storture, a quanto l'indagine storica ha finora attestato.
Mi sa che alla fine aveva ragione Giorgio Bocca a scrivere qualche anno fa sull'Espresso che "prima di questa repubblica era meglio la monarchia".

da http://altraeuropa-tito.blogspot.com

Tuesday, January 19, 2010

Toscana Razzista


La Toscana viene sempre pensata da chi non ci vive come un luogo di pace. Una bruna isola di serenità in un continente turbolento. Questa è l'immagine idilliaca che ci hanno regalato i viaggiatori inglesi dell'800 e l'ondata di ricchi turisti tedeschi che fanno incetta di villette per le vacanze a Prata come a Siena e nel Chianti.
La verità è che la Toscana a volte rivela un'anima inquieta e inquietante. Ha generato mostri, briganti e serial killer, e anche se nessuno lo vuole ammettere la sua storia fornirebbe materiale per un eccellente disco Black Metal che non vedrei l'ora di ascoltare. Basta pensare alle chiese sconsacrate che sono a tutt'oggi teatro di messe nere, in provincia di Pisa.
La Toscana non è quell'isola di fraternità disegnata ipocritamente dall'ultimo Benigni, è molto di più e molto di questo non vogliamo spesso vedere.
La Toscana è fatta di faide fra città, comuni, province, che ci trasciniamo dal medioevo, come tutte le altre regioni d'Italia. Non siamo diversi.
Lo dimostra il cartello affisso ad un negozio di Empoli: «Vietato ai cinesi se non parlano italiano».
Roba da leggi razziali. Quando diamo dei razzisti ai leghisti del Nord-Est dovremmo sciacquarci la bocca, a volte non siamo meglio di loro.
L'immigrazione è un problema? Certo! Il razzismo dichiarato e non più solo sussurrato può essere una risposta? Non credo.
Come possiamo pretendere rispetto da chi arriva nel nostro paese se non siamo i primi a dimostrarlo. Si può dire quello che si vuole, ma agli immigrati non porgiamo certo la mano.
E questo è solo l'inizio credo, dopo la vittoria di questa destra tutta meretricio e manganello a Prato la parabola discendente della tolleranza è cominciata anche da noi.
Bando agli stranieri, salvo quelli che ci portano soldi d'estate.
Che figura di m***a!

Sunday, January 17, 2010

da http://www.partitodemocratico-follonica.it

Il Partito Democratico apprezza l’intervento proposto dall’amministrazione comunale per la rigenerazione mirata delle pinete di Follonica.

Quello che è accaduto negli ultimi giorni ai nostri pini è la conseguenza di un periodo di piogge eccessive e dell’età avanzata di questi alberi. Come partito siamo estremamente convinti che il verde sia fondamentale per la città: alberi e piante non sono solo decorazioni ma veri e propri ‘polmoni’ di ossigeno che rendono migliore l’aria che respiriamo. Per Follonica la pineta caratterizza la morfologia del litorale rendendola una città moderna ma contemporaneamente immersa nel verde. Per questo auspichiamo che la risposta alla richiesta inoltrata in Provincia attraverso i Pasl, inerente il progetto di salvaguardia delle nostre pinete riceva risposta positiva. Un piano questo che prevede il taglio dei pini vecchi e malati con la conseguente ripiantumazione di alberi sani e giovani. Naturalmente questo importante lavoro comporterà la chiusura a tratti dei parchi cittadini, con una sensazione di ‘disboscamento’a macchia di leopardo. La tutela del territorio e la lungimiranza delle iniziative da attuare spero che saranno argomenti abbastanza importanti per far si che questo progetto possa iniziare rigenerando con il tempo le zone di pineta sottoposte a questa misura di rimpiantumazione. Forse qualcuno si lamenterà, forse questo piano porterà con sé delle polemiche, ma sarà nostro dovere portare avanti questo progetto che ci permetterà di salvaguardare la nostra pineta, e far sì che episodi come quelli degli ultimi giorni, con alberi secolari che si spezzano in due, provocando anche timore per la sicurezza dei cittadini, non accadano più e sia i cittadini follonichesi sia i turisti che apprezzano il nostro territorio continuino ad usufruire di un bene che continuerà a recare piacere a tutta la collettività. La necessità di rigenerare la pineta di Follonica nasce anche dalla volontà e dal desiderio che questa zona verde rimanga immutata per evitare che nei prossimi anni tale spazio sia assorbito da una cementificazione sconsiderata che porterebbe guadagno ad una ristretta categoria di persone a discapito dell’interesse collettivo.

Anna Maria Gaggioli

Segretario PD Follonica

Monday, January 11, 2010

Matteoli pensa in grande per Firenze

Il braccio di ferro sulla nuova stazione ferroviaria dell'alta velocità di Firenze, che da qualche mese vede protagonisti il sindaco del capoluogo toscano, Matteo Renzi, e l'amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti, è arrivato a una svolta. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se la soluzione (necessariamente di compromesso) è a portata di mano, oppure se il confronto diventerà uno scontro vero e proprio, il cui esito sarebbe incerto.
Domani la questione sarà discussa dal consiglio comunale di Palazzo Vecchio e giovedì 14 è in programma a Roma, presente il ministro delle infrastruture Altero Matteoli, l'incontro da cui dovrebbe uscire la decisione finale. Gli spazi di manovra, però, sono minimi. Renzi non vuole il progetto attuale (l'unico esistente), disegnato da Norman Foster, che prevede una stazione sotterranea nella zona degli ex macelli di via Circondaria, a circa 1,7 chilometri da Santa Maria Novella e a 45 metri di profondità, dove passerà il tunnel di 6,1 chilometri del cosiddetto "nodo fiorentino dell'Alta velocità" i cui lavori sono appena iniziati (l'appalto vale circa 700 milioni ed è stato vinto da un raggruppamento d'imprese guidato da Coopsette).
«Dobbiamo garantire sicurezza e qualità della vita a tutta la città», dice Renzi. La soluzione Foster comporterebbe uno scavo a cielo aperto e la costruzione di un gigantesco camerone in cemento armato per deviare la falda, con non meno di 300 camion che ogni giorno attraverserebbero la città per trasportare il materiale. Il sindaco contesta anche l'utilizzo di mezzi su gomma anzichè su ferro (come era previsto dagli accordi) e la mancanza di siti sufficienti a ricevere i quasi 3 milioni di metri cubi di "smarino" dello scavo.
Per questo Renzi aveva proposto una leggera deviazione del tunnel ferroviario con sosta dei treni a una profondità più modesta (25 metri) nell'area tra la Fortezza da Basso e la stazione di superficie di Santa Maria Novella. Ma contro questa ipotesi, inizialmente accolta con favore dalla Regione Toscana e dallo stesso Moretti, si è di fatto schierato il ministro Matteoli, che non vuole allungare i tempi di realizzazione del nodo fiorentino (è previsto che sia ultimato entro il 2015). La proposta di Renzi richiederebbe infatti una nuova valutazione d'impatto ambientale (Via), per la quale servirebbero 3 anni. Su questo punto, anche Moretti sembra irremovibile: per le Ferrovie va avanti il progetto di Foster (che ha un costo di 250 milioni).
Il fatto curioso è che la Via non è stata fatta neppure per la stazione disegnata dall'architetto inglese (c'era una valutazione precedente per un progetto diverso in un'altra area ed è stata considerata valida). La Regione, con l'assessore alle infrastrutture Riccardo Conti impegnato a mediare (pur ribadendo che «l'unico progetto esistente è quello di Foster»), non si opporrebbe a uno spostamento della nuova stazione di 200-300 metri verso S.M.Novella, in modo da unire le due strutture come auspicato da Renzi. La soluzione, in questo momento la più gettonata, troverebbe d'accordo anche Moretti e Matteoli. Ma c'è da valutare l'eventuale aggravio dei costi. E Renzi non sembra convinto.

da http://www.ilsole24ore.com

Friday, January 8, 2010

da http://altraeuropa-tito.blogspot.com

La rivolta di Rosarno è una delle cose più vergognose che siano accadute in Italia da anni. Non la più sanguinosa, non la più grave, ma senz'altro la più vergognosa.
In Italia, come hanno detto da Fare Futuro, esiste la schiavitù, ed è tollerata. E questo in un paese fondatore dell'UE è una vergogna.
Abbiamo un ministro dell'interno che dice che la colpa è anche dell'eccessiva tolleranza verso l'immigrazione clandestina. E questa è una vergogna.
Se gli immigrati non arrivassero chi coltiverebbe i campi della Calabria o andrebbe a raccogliere gli aranci della Sicilia o le olive della Puglia? Senz'altro nessun italiano.
La verità è che di loro abbiamo bisogno e che non c'è forza per arginare la disperazione: un fiume che travolge qualunque forza non affamata che gli si opponga. E noi non siamo capaci di accettarlo perchè vogliamo dire ad ogni costo che ce l'abbiamo duro (il coraggio di opporci si intende).
E allora invece di aiutare queste persone ad integrarsi, a diventare cittadini con tutele ci diamo al muro contro muro feroce.
Non parlo di misure fantascientifiche, parlo di centri di informazione per gli immigrati come ci sono in Germania, parlo di mettere in galera chi da lavoro ai clandestini e regolarizzare questi ultimi quando questi vengono indentificati sul posto di lavoro (come aveva proposto Diliberto - oddio sono d'accordo con un comunista!) oppure di dare il diritto agli immigrati regolari di votare alle amministrative, in modo da aumentare il loro peso politico e quindi dare un incentivo a tutelarli.
Ma non lo facciamo perchè la mafia è un ottimo manager per la politica e la paura è ottima per i comizi.
Ma questa è solo una considerazione giornalistica.