Thursday, March 20, 2008

La verità su Alitalia (2a puntata)

Su Alitalia avevo già detto qualcosa. Ora riporto (in parte e liberamente riformulato) questo stralcio della puntata “Alitalia come Italia” della trasmissione "La Storia Siamo Noi".


Tutto ha inizio il 5 maggio del 1947 quando dall’aeroporto dell’Urbe di Roma parte il primo volo Alitalia con destinazione Catania. L’aereo è un trimotore G12 Fiat, il costo del biglietto è di 7.000 lire. L’azienda, nata ufficialmente il 16 settembre del ’46 è a maggioranza IRI.

Ma questo ci interessa relativamente. Saltiamo ai giorni nostri per capire la verità su Alitalia, e per farlo bisogna partire dall’affare Malpensa.
Di Malpensa si inizia a parlare già dal ‘93 quando il consiglio d’Europa chiede ai Paesi membri di sviluppare i collegamenti con l’Europa dell’est. Tra i vari progetti l’Italia presenta quello per “Malpensa 2000” che l’Europa approva nel ‘94. Malpensa doveva essere un grande hub, ovvero un distributore di traffico aeroportuale dove i passeggeri trovano voli per tutte le destinazioni, concorrente a quello di Francoforte e Parigi. Per l’Italia si tratta di una grande occasione perché un hub è una ricchezza e un elemento di sviluppo economico. Secondo degli studi fatti dall’Università Bocconi di Milano, il nodo aeroportuale avrebbe comportato 150mila posti di lavoro e un valore tra diretto e indotto di 10 miliardi di euro.
Malpensa non rappresentava solo un asset per lo sviluppo di Alitalia ma anche un bene di scambio per poter raggiungere una fusione alla pari con KLM. KLM ha infatti più aerei di quanti ne servano e visti i loro territori (Olanda) e il loro mercato non hanno possibilità di sviluppo, se non attraverso un altro hub. L’accordo avrebbe portato alla nascita della più grande compagnia europea: 39 milioni di passeggeri, contro i 38 di Lufthansa, i 36 della British Airway e i 33 di Airfrance; e 263 aerei per 377 destinazioni, con ricavi di oltre 9 miliardi di euro, nonché notevoli risparmi. L’accordo preliminare viene firmato nel ‘98 con lo slogan “One ticket to the world”, con decorrenza dal 1 novembre del ‘99. Per la stampa olandese Malpensa è un dono di Dio che giustifica perfino un’alleanza definita “azzardata”. Il piano del Governo Prodi, chiamato “progetto Hermes” è molto semplice: creare due hub, Fiumicino e Malpensa (e quindi eliminare Linate), gestiti da una società, realizzata con l’appoggio della finanza e degli imprenditori italiani, in cui il Governo cede una parte delle sue azioni di Aeroporti di Roma, e la città di Milano parte della proprietà della SEA.
Ma il piano del Governo deve fare i conti con molte problematiche. In primis ci sono le proteste dei 13 milioni di passeggeri che ogni anno affollano Linate e soprattutto i cittadini di Milano abituati ad andare e tornare da Linate velocemente con 40.000 lire di taxi contro un viaggio in treno che gli costerebbe almeno il doppio se i voli fossero spostati su Malpensa.
Però perdere il progetto Malpensa 2000 sarebbe un duro colpo per il Paese, e così in una lettera aperta Prodi prova a rilanciare e il 25 marzo ‘98 scrive sul Corriere della Sera al sindaco di Milano, Gabriele Albertini: “Se non corriamo al più presto ai ripari Malpensa sarà condannata a un sicuro declino. Di tutto questo ne ho parlato con il sindaco di Milano, la risposta che ne ho ricevuto è stata una rigida difesa di un inesistente e indifendibile primato di Milano e di Malpensa. In questo modo la giunta di Milano segna la condanna di Malpensa 2000”. Secondo alcuni analisti è stata l’ingordigia del comune di Milano di pensare che avendo due aeroporti funzionanti li avrebbe venduti a un prezzo più alto, che gli fece perdere la testa; e questo dipende dal fatto che non è detto che una persona (Albertini) che è stata capace di portare avanti bene una fabbrica di 200 persone sia capace di giudicare cosa succede nel traffico aereo…». Fallisce il piano “Malpensa 2000”.
Il 21 ottobre del ‘98 cade il Governo Prodi, a governare l’Italia ora è Massimo D’Alema, mentre il nuovo Ministro dei trasporti è Tiziano Treu. A complicare le cose si aggiunge il Ministro dell’ambiente Edoardo Ronchi che il 25 novembre, di concerto a quello dei beni culturali, esprime una valutazione di impatto ambientale negativa di Malpensa in quanto si trova nel parco del Ticino. Chiede dunque un nuovo esame del programma sul trasferimento dei voli. Il 14 dicembre ’99, un solo giorno prima della data prevista per il trasferimento dei voli da Linate a Malpensa, in un’agenzia dell’Ansa si legge: “Domani non ci sarà il previsto trasferimento di voli da Linate a Malpensa: lo ha deciso il Ministro Treu d’intesa con il Presidente del Consiglio Massimo D’Alema”. E fallisce l’accordo con KLM. La KLM decide quindi di rompere l’alleanza il 20 aprile del 2000 con questa motivazione: mancato sviluppo di Malpensa e mancato sviluppo del vettore italiano. La società olandese preferisce pagare la penale prevista di 250 milioni di euro che la porta vicina al fallimento, piuttosto che rimanere legata ad Alitalia.
L’Alitalia si trova quindi a doversi dividere da sola su tre aeroporti di punta, Malpensa, Linate e Fiumicino. Questo vuol dire: tripla flotta, tripla manutenzione, triplo personale e di conseguenza costi tripli.
Ed arriva l’11 settembre: il traffico passeggeri mondiale subisce un ingente calo. Alitalia si trova costretta a ridurre i voli intercontinentali, internazionali e nazionali. Berlusconi nomina il nuovo amministratore delegato in Francesco Mengozzi. Il suo piano prevede tagli per il 41% al settore intercontinentale, ma per gli steward Alitalia è un gravissimo errore: “Cancellare la rotta per Pechino con un 80% di coefficiente di riempimento e con un mercato in espansione è stato assurdo!”. In piena crisi dunque Alitalia prende decisioni affrettate e sbaglia scelta: punta sul medio raggio e quindi su una concorrenza con le low cost impossibile, quando tutte le altre compagnie privilegiano il lungo raggio dove la filosofia low cost non premia. Ripeto! Questo Mengozzi ha abbandonato la rotta con Pechino (capitale dello Stato che economicamente sta conquistando il mondo) e si è messo a fare le rotte dei Low Cost (con i prezzi Alitalia)! Le perdite aumentano ancora mentre nel 2003 il traffico mondiale subisce un’altra flessione e scende del 7,1 %.
Alitalia reagisce con nuovi tagli e questa volta a farne le spese è il personale di volo. Eppure secondo i dati dell’AEA (Association of European Airlines) non è il personale il vero problema dell’azienda. Nell’Yearbook 2007 si legge che tra le principali compagnie europee Alitalia ha il più basso rapporto tra dipendenti e aerei in servizio: 61,45 dipendenti per aereo (che salgono a 99,94 se si aggiunge Alitalia Servizi), contro i 246,53 di Air France KLM, i 158,31 della British Airways, i 159,34 dell’Iberia e i 232,21 della Lufthansa. Stesso discorso per gli stipendi: un comandante boeing italiano guadagna circa 8mila euro al mese, il 30% in meno rispetto alla concorrenza europea: 14mila British, 12 Iberia, 11.500 Lufthansa. Si legge anche che il coefficiente del lavoro diviso tra i membri è tra i più alti. L’unico neo riguarda gli stipendi dei manager, tra i più alti d’Europa. Il costo del personale in Italia non supera quindi il 20% contro il 26% delle altre compagnie europee, eppure i tagli vengono fatti ugualmente. Il 1 giugno 2003 quindi il personale sciopera improvvisamente contro la decisione di abbassare da 4 a 3 i membri sui boeing e contro il blocco di straordinari e ferie arretrate: in un solo giorno vengono cancellati 250 voli, e solo 1.300 su 2.000 impiegati effettuano il servizio.
Nel 2003 Alitalia e Air france sono le uniche compagnie a essere ancora controllate dallo Stato, ma nell’aprile il Governo francese annuncia: “Privatizzeremo entro l’anno e poi sposeremo KLM”. Il 13 novembre anche palazzo Chigi (Governo Berlusconi) annuncia di aver sbloccato la privatizzazione di Alitalia, anche se non dice né come né quando. Contro questo annuncio il 28 novembre in Alitalia ci sono nuovi scioperi: tutti i sindacati sono uniti contro al privatizzazione. Il governo Berlusconi a questo punto fa dietro front, cedendo alle pressioni dei sindacati. Il 6 maggio 2003 viene nominato Giancarlo Cimoli come nuovo Amministratore Delegato, Presidente e Direttore generale. L’azienda dichiara 1 milione di perdite al giorno. Grazie a Cimoli Alitalia perde i voli sulla Sardegna per essersi “dimenticata” di presentare la documentazione per partecipare alla gara d’appalto. Gli slot sulla Sardegna vengono quindi presi da Meridiana e Air One. L’indebitamento dell’azienda continua ad aumentare ed è ormai sull’orlo del fallimento. Nel 2005 una delibera del consiglio di amministrazione raddoppia lo stipendio di Giancarlo Cimoli che sale a 2.791.000 euro l’anno (6 volte l’amministratore delegato di Air France e il triplo rispetto a quello di British Airways). Questi nel 2006 lascia il posto prima a Berardino Libonati e poi a Maurizio Prato, e chiede 8 milioni di euro di buonuscita.
Nel maggio 2004 Air France e KLM concludono un accordo di fusione, molto simile alla joint venture che Alitalia e KLM avevano operato nel ’99, e fanno sapere che sono lieti di estendere l’intesa anche ad Alitalia, ma alla condizione che sia prima risanata e poi privatizzata. L’8 ottobre il Cda si riunisce per promuovere una lista, la “short list”, con i sei migliori candidati a cui cedere la compagnia aerea: Air France-KLM, Lufthansa, Ap Holding Aeroflot (società che controlla Air One), Texas Pacific Group e una NewCo (ovvero una corporazione) rappresentata legalmente da Antonio Baldassarre. Ma di questi, il 6 dicembre, giorno di scadenza per presentare l’offerta, solo in tre inviano la loro proposta: Air France-KLM, Ap Holding e la “cordata” di Baldassarre. Il 21 dicembre il Cda ufficializza la scelta di Air France-KLM come interlocutore unico per la privatizzazione: “A favore di questa – spiega - è il piano industriale di elevata credibilità e idoneo a risolvere le criticità di tipo strategico, industriale e finanziario di Alitalia, tenuto anche conto del contesto competitivo nel quale la società opera”. Ma nel momento decisivo, come già successo, cade il Governo Prodi e la protesta per salvare Malpensa dilaga subito il Lombardia. Da Parigi intanto Air France fa sapere di avere intenzione di riaprire le trattative solamente quando ci saranno degli interlocutori e quindi dopo le elezioni. Intanto il 31 Gennaio 2008 Alitalia dichiara di aver ufficialmente abbandonato gli slot sull’aeroporto di Malpensa che non utilizzerà più a partire dalla stagione estiva 2008. La SEA fa sapere di aver intentato una causa contro Alitalia per l’abbandono da parte di questa dello scalo milanese, chiedendo danni pari a 1,2 miliardi di euro (vedi qui per un commento economico sul comportamento di SEA).

Ad oggi Alitalia ha 17mila dipendenti in cassa integrazione a rotazione. Nonostante il fiume di finanziamenti pubblici (dal 1997 ha ricevuto contributi statali per quasi 7 miliardi di euro) l’azienda è al tracollo e continua a perdere circa 1 milione di euro al giorno.
Oggi (sarà la campagna elettorale?) Berlusconi vuole formare una cordata di imprenditori (forse gli stessi che hanno sostenuto il blocco per Malpensa per non perdere la comodità di Linate, facendo saltare l’accordo con KLM) per prendersi Alitalia. Mossa altamente illiberale perchè fuori tempo massimo (dov’era al momento dell’asta?(bella domanda: a fare il partito delle libertà)).

Parere personale: l’Italia ha saputo bruciare nell’ordine 1) la compagnia aerea di bandiera del Paese turisticamente più appetibile al mondo, 2) ha perso per comunalismo e provincialismi l’affare Malpensa, 3) è riuscita a spendere una intera finanziaria per sostenere Alitalia. I francesi non possono fare di peggio. Spero in Air France.

p.s.: non ho mai volato con Alitalia e devo dire che quando sono negli aeroporti internazionali guardo con pietismo i passeggeri che quotidianamente vengono lasciati a piedi per gli scioperi del personale, e mi vergogno di essere italiano.