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Monday, May 11, 2009

Un giorno ci sveglieremo

Il Premio Nobel per la Pace non è mai stato assegnato ad un italiano dal 1907 ad oggi.
E' finalmente venuta l'ora di sfatare un tabù che dura da più di cento anni, ovvero da quanto nel 1907, ad aggiudicarselo fu Ernesto Teodoro Moneta.
Alla corsa per l'ambito riconoscimento si sono succeduti, in questi anni numerosi politici e capi di Stato, tra i quali potremmo citare, Yasser Arafat, il presidente della Corea del Sud, Kim Dae-Jung, l'ex presidente americano, Jimmy Carter, ed Al Gore.
Oggi crediamo che, anche, l'Italia meriti di ricevere tale riconoscimento, e di essere degnamente rappresentata da Silvio Berlusconi, per il suo indiscusso impegno umanitario in campo nazionale ed internazionale.

Sunday, May 10, 2009

Il presidente che vorrei

So che sono tempi difficili per molti di voi, che ci sono grandi giornalisti che stanno perdendo il lavoro a causa delle difficoltà del settore. Sono tempi di rinnovamento tecnologico, di cambiamento. Ma ci tengo a dire che il vostro servizio è essenziale per la tenuta della democrazia. L'ipotesi di un giorno in cui non vi sia una forte critica nei confronti del governo non è un'opzione contemplata per gli Stati Uniti d'America. Voi a volte peccate di approssimazione. Ma ogni giorno ci aiutate a renderci conto della complessità del mondo in cui viviamo. Questa è una stagione di rinnovamento e di cambiamento. Per questo, sinceramente, vi offro il mio ringraziamento e il mio supporto.


Saturday, May 9, 2009

Wednesday, May 6, 2009

Noemi attaccata

Ma la madre la difende: "Mia figlia è cresciuta alla luce del Vangelo e nel mito di Berlusconi". Però Gesù si fece processare.

Monday, May 4, 2009

Ma a me paiono anche un po' imbecilli

Gianni Alemanno se la prende anche con le serie televisive di successo come Romanzo criminale colpevoli, secondo lui, di alimentare atteggiamenti pericolosi tra i giovani. Visitando la scuola media nella borgata di Villaggio Prenestino, estrema periferia di Roma, nel cui cortile giovedì scorso un 15enne è stato accoltellato da un altro alunno di 14 anni, il sindaco della Capitale ha tenuto a sottolineare che non si tratta "di una criminalità organizzata, siamo a un altro livello, quello delle bande giovanili".

Quindi il primo cittadino ha parlato anche di modelli culturali che vengono veicolati alle giovani generazioni, puntando il dito sui programmi televisivi, in particolare la serie ispirata al romanzo di Giancarlo De Cataldo ambientata nella Roma violenta degli anni Settanta: "L'avevo detto fin dall'inizio che alcune operazioni culturali come la serie tv Romanzo criminale o altre simili non aiutano, hanno lanciato delle mode, degli atteggiamenti e dei modi di fare sbagliati. I giovani, invece non vanno lasciati da soli, faremo tutto il possibile per stare nelle periferie".
Fonte: Repubblica

La scusa che sono le arti figurative a genreare violenza non è solo errata, ma è anche stupida, populista e pericolosa. Ricordo che tempo fa la Mussolini ha cercato in ogni modo di censurare una canzone di Gino Paoli su una ragazza che viene violentata. C'è da aspettarsi che da domani mettano fuori commercio Pulp fiction.


Sunday, May 3, 2009

Personale è politica

''E' una vicenda personale che mi addolora, che rientra nella dimensione privata, e di cui mi pare doveroso non parlare''. Silvio Berlusconi prova a tappare così la falla aperta nella sua nave corazzata dalla persona che lo conosce di più, sua moglie da diciannove anni e sua compagna da quasi trenta. Veronica Lario dice frasi tremende: "E' una persona che non sta bene, che va con le minorenni, io ho provato ad aiutarlo, ma ora non posso più restargli vicino". Fin qui, forse, si potrebbe pure trattare di un fatto che riguarda le complicate vicende che precedono un divorzio. Poi, però, arriva una frase diversa dalla ex signora Berlusconi, scritta così da Dario Cresto Dina per Repubblica: "Veronica non ce l'ha né con le giovani donne aspiranti europarlamentari né con Noemi. Interpreta la loro parabola quasi epicamente, come 'figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica'. La sconcerta, però, che il metodo da 'ciarpame politico' non faccia scandalo, che quasi nessuno si stupisca, che 'per una strana alchimia il paese tutto conceda e tutto giustifichi al suo imperatore', come racconta a chi le sta vicino".

Ecco, io credo che questa scossa riguardi tutti, riguardi il paese o almeno tutti coloro che si sono stancati di concedere e giustificare ogni cosa all'Imperatore di Cartapesta. Il divorzio di Veronica non è una vicenda privata. E' una questione pubblica e politica.

Per la prima volta da anni qualcuno dice che il re che è nudo, è inconsistente come un uomo di cartapesta agli occhi di chi gli è stato vicino per trent'anni. In qualsiasi paese del mondo un elemento come questo sarebbe politicamente deflagrante. E' immaginabile un Obama che resista a colpi del genere inferti da Michelle o un Sarkozy colpito così da Carla Bruni senza che ne derivi un pubblico e politico dibattito? In Italia, per pruderie e per timore di vendette, della questione si tende a non discutere archiviandola nella cartella 'tra moglie e marito non mettere dito'. Invece la questione è tutta politica.

Mi auguro un'offensiva del Pd che chieda al paese già in occasione di queste europee di togliere fiducia a Berlusconi, un uomo confuso nella sua vita privata e confuso nel modo megalomane di governare male un paese in profonda crisi, prima di tutto morale. Non dobbiamo avere paura di avviare questo dibattito nel paese.

Dobbiamo farlo noi perché è già partito il coro degli interventi "giustificazionisti" e "rispettosi". Forse è il caso di cominciare ad essere irrispettosi per esorcizzare la "strana alchimia" di cui si stupisce Veronica e io con lei. Possibile che a Berlusconi debba essere concesso proprio tutto?

La crisi morale del paese è la crisi morale del suo presidente del Consiglio: l'una vive e si nutre dell'altra, da decenni a oggi. Questa occasione può essere utile per interrompere il cortocircuito etico che ne deriva.

Un settantreenne accusato dalla moglie di andare a minorenni (ne deriva la mignottocrazia), di essere una persona che non sta bene (ne deriva un governo inefficace da megalomane), di candidare alle elezioni le proprie squinzie andando oltre Caligola e i cavalli (ne deriva un'agghiacciante classe dirigente), non è degno di guidare il paese.

L'Italia, non solo Veronica, merita di liberarsi da un uomo così. Forse è arrivato il momento di spiegarlo efficacemente a tutti i liberi e forti disposti a lottare per veder rinascere democraticamente una nazione.

No, non è una vicenda privata.

Tuesday, April 28, 2009

Guarda un po'

L’apporto lavorativo degli immigrati stranieri in Italia nell’anno 2006 è stato di oltre 122 miliardi di euro, pari al 9,2 per cento del Pil nazionale. (Lavoce.info)

Poi uno può continuare a fare il gioco del non vedo-non sento-non parlo, ma diventà ottusità.

Monday, April 27, 2009

«Berlusconi passa al setaccio modelle e attrici per fare le sue liste europee»

Le bellezze di Berlusconi verso Bruxelles". Così titola il Time, che aggiunge, "Berlusconi ha occhio per le belle ragazze” e ne ha portate alcune in Parlamento e anche al Governo [come Maria Rosaria detta Mara]. Ma, anche per i suoi standard, per dare una faccia nuova al suo partito per le elezioni europee di giugno ha scelto una lista di candidate «impressionante».

Il Times racconta del corso accelerato organizzato al quartier generale del Pdl per dare alle potenziali candidate all’Europarlamento nozioni di storia e politica europea, Nato, Bce e Fmi.

Delle aspiranti candidate di Berlusconi parlano pure in Spagna. «Modelle per il Parlamento europeo», titola sulla homepage El Mundo.

Notiamo però che dalle liste manca Evelina Manna. Forse una dimenticanza? A parere dei maschietti del gruppo è più meritevole (secondo i parametri berlusconiani) delle altre.

p.s.: La foto sotto non si riferisce ad una delle lezioni per le candidate, ma uno degli incontri - come dire - preliminari con il Premier stesso.


Thursday, April 23, 2009

Friday, April 17, 2009

Frase del giorno

L’unica garanzia di obiettività non è una trasmissione plurale, ma una pluralità di trasmissioni.

Massimo Gramellini su La Stampa

Thursday, April 16, 2009

Tre porcellini

Alla fine il referendum non si farà il 7 giugno, ma nel weekend successivo o, più probabilmente, il 21, domenica di ballottaggio. Prima domanda: se era anticostituzionale il 7, perché non lo sarebbe il 21? Lo sa il cielo. In compenso, se si opterà per il terzo weekend, si dovrà modificare la legge che norma i referendum, che prevede come termine ultimo per la loro celebrazione il 15 giugno. Tre piccoli porcellin: il sistema elettorale, la decisione di fare saltare il referendum, lo spreco di centinaia di milioni di euro, ai tempi della crisi e in un momento difficile per il Paese. Si tratta della più limpida delle scelte partitocratiche: la Lega sa che in caso di raggiungimento e di prevalenza del sì ai tre quesiti, non solo salterebbe l'amato porcellum, che le consente di prendere i voti "a latere" rispetto a B, ma si metterebbe in discussione anche il suo ruolo da terzista, che la solleva da ogni responsabilità. Non importa che 800.000 cittadini e passa abbiano sottoscritto il referendum, previsto dall'ordinamento e garantito da un preciso riferimento costituzionale. Importa solo la difesa del fortino leghista, a tutti i costi. E, in questo caso, i costi sono alti. E i tre piccoli porcellini se la cantano e se la suonano. Chissà se arriverà il lupo.

Giuseppe Civati (*)

Saturday, March 7, 2009

La crisi

"[T]he problem is not that the corporations are breaking the laws; the problem is that they are making the laws"

Sam Bowles, ***

Monday, January 5, 2009

Era un annetto fa


Fini attacca Berlusconi: "E' alle comiche finali"



«Spero che sia per tutti chiaro che, almeno per me, non esiste alcuna possibilità che Alleanza nazionale si sciolga e confluisca nel nuovo partito di Berlusconi, del quale non si capiscono valori, programmi, classe dirigente. Non ci interessa la prospettiva di entrare in un indistinto partito delle libertà». Gianfranco Fini sottolinea di avere usato «parole volutamente chiare» per chiudere la porta in faccia a Berlusconi, che lo invita ad entrare nella sua nuova creatura politica. «Non per ammutinamento, non per lesa maestà lo avevo invitato sul Corriere e su Repubblica a dialogare sulla legge elettorale a riconoscere gli errori di noi tutti, e fare un salto in avanti e non cambierei un solo aggettivo, una sola parola di quelle interviste che non erano sbagliate, ma soltanto da fare prima». «Lui che adesso accetta di discutere sulla legge elettorale, ci ha risposto senza rispetto - va avanti Fini - e quasi sfidando il ridicolo ci ha detto 'ho fondato il Pdl, scioglietevi, bussate, venite e vi sarà aperto...' comportarsi in questo modo non ha a che fare con il teatrino della politica, significa essere alle comiche finale». Ai problemi che Alleanza nazionale poneva, per Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi ha risposto «senza rispetto». «È stato solo capace di dire 'Ma dove vanno senza di me, loro hanno il progetto io ho i voti, la Cdl era un ectoplasma, per gli egoismi degli alleati stare a palazzo Chigi per me è stato un calvariò. Beh, non ho mai visto tanta gioia nel portare la croce...». Alleanza nazionale non accetta di apparire come «il partito che ha archiviato la stagione dell'unità». «Noi aspettiamo da Berlusconi risposte - afferma ancora oggi Fini - e speriamo davvero che risponda invece che lanciare anatemi o peggio intimidire gli alleati. Ma deve essergli chiaro che l'unità nel centrodestra deve necessariamente comportare la difesa del bipolarismo, altrimenti non si archivia solo il centrodestra ma anche quel valore dell'unità che si dice di voler difendere». È Berlusconi, continua Fini, che «si assume la responsabilità di mandare a pezzi la Cdl e soprattutto di dividere il popolo di centrodestra a cui noi continuiamo a credere oggi. Perché io condivido quando lui dice che dobbiamo restare uniti, ma come intende garantirla questa unità? Come si fa ad essere uniti quando si propone un'annessione al Pdl, quando si dice di considerare chiusa la stagione del bipolarismo, quando si annunciano mani libere e assenza di vincoli di coalizione, di programmi comuni, di indicazione del premier». «A Berlusconi - conclude Fini - ricordo il tempo in cui diceva che il maggioritario è una religione laica. A lui ricordo che l'unità si fonda su valori, programmi, strategie e che la legge elettorale è un argomento privilegiato di confronto e lui, se penso all'unità del centrodestra non può prospettare una legge che porta ad un sistema bipartitico».


Sunday, December 14, 2008

Tuesday, December 9, 2008

Moralismo storico?

...Il Pd non dovrebbe limitarsi a respingere con disprezzo le provocazioni di Berlusconi. Se una decente qualità tecnica e morale nelle amministrazioni costituisce una delle risorse residue del partito, qualsiasi incrinatura in questo patrimonio va considerato un'insidia grave, che genera inquietudine e tende a rendere meno credibili le rivendicazioni come quella espressa polemicamente da Veltroni nella manifestazione del Circo Massimo ("Il paese è migliore della destra che lo governa").

Edmondo Berselli, ieri su Repubblica

Monday, December 8, 2008

Saturday, December 6, 2008

Thyssen

La tragedia della Thyssen continua a devastare. Non è questione di vendette, ma di giustizia e consapevolezza.

Il 6 dicembre 2007 è un giorno mai finito. Le continue morti sul lavoro sono la vergogna vera di questo paese.

Mario Adinolfi

Thursday, December 4, 2008

It's all right

"In meno di un anno i risultati sono stati straordinari. La Summer School è stata un successo. La nostra tv sta andando benissimo. Il Circo Massimo è stato un trionfo. Abbiamo vinto le elezioni in Trentino e in Alto Adige. Abbiamo gioito per la vittoria di Obama, perché qui qualcuno aveva intuito che era uno straordinario seme di futuro. Siamo risaliti di 4 punti nei sondaggi mentre Berlusconi ha cominciato a cadere. Insomma, tutto stava andando per il meglio. Ho chiesto ai segretari regionali due giorni fa: cosa diavolo è successo in pochi giorni?".

Walter Veltroni su Repubblica

A chi scova tutte le forzature ottimistiche e le omissioni in questo testo in regalo un portachiavi di Topo Gigio.

Sunday, November 23, 2008

Che cosa è la Destra, che cosa la Sinistra?

Gli scaffali delle librerie dedicati alle ultime novità dicono più di tante sofisticate analisi: “Sinistrati – Storia sentimentale di una catastrofe politica” (Edmondo Berselli, Mondadori); “Fine corsa – Le sinistre italiane dal governo al suicidio” (Rodolfo Brancoli, Garzanti); “Eutanasia della sinistra” (Riccardo Barenghi, Fazi editore). E se dai titoli si passa al contenuto, aprendo alla prima pagina e cominciando a leggere, l’effetto non cambia. Berselli: “Dopo che ci è arrivato addosso il tram, in quel fatale e crudelissimo mese di aprile…”. Brancoli: “Dramma può sembrare una parola grossa…”. Barenghi: “Buia e tempestosa, era una di quelle notti che vanno avanti anche di giorno”.

Tutto il contrario che ad Amsterdam
Berselli, Brancoli, Barenghi. Nessuno di loro può essere definito di destra. Tutti s’identificano in qualche modo in un’area che va dalla cosiddetta sinistra radicale al centrosinistra. Evidentemente, almeno a giudicare dai loro libri, la sinistra italiana non si sente tanto bene.
Non è una grande scoperta, d’accordo. A voler essere rigorosi, non è una novità nemmeno sul piano editoriale. “A casa ho uno scaffale lungo un chilometro per ospitare saggi, libelli e pamphlet sulla crisi della sinistra”, ha scritto martedì su Repubblica Michele Serra. “Ma tutti a rischio di inflazione per almeno due motivi: il primo è che la sinistra è effettivamente in crisi, il secondo è che i suoi intellettuali traggono dalla crisi ispirazione quasi infinita”.
Difficile dargli torto (su entrambe le cose). E se dai libri si passa agli articoli su quotidiani e settimanali, ai talk show, alle trasmissioni radiofoniche e ai siti Internet, il tasso di inflazione raggiunge rapidamente livelli da anni Trenta. In perfetta armonia con il tenore generale del dibattito.
Se però ci si domanda da dove questa terribile crisi sia cominciata, ecco affacciarsi un sospetto inquietante. E cioè che in Italia la crisi della sinistra sia nata prima ancora della sinistra. Se poi si pensa ai molti articoli, libelli e pamphlet dedicati alla “crisi della destra”, una destra che non è mai “normale”, “moderna” ed “europea” – oppure lo è troppo, smarrendo così “l’identità”, “le radici” e “i valori” tradizionali – si capisce che il discorso non vale solo per la sinistra (e se accanto allo scaffale dedicato alla crisi della sinistra, in casa Serra, c’è solo “uno scaffalino vuoto”, quello “destinato ai libri sulla crisi della destra”, non è colpa del mercato editoriale).

Il punto è che in tutto questo interrogarsi su come siano cambiate, snaturate o deperite la destra e la sinistra italiane, si perde di vista il fatto che in Italia, per almeno mezzo secolo, non si sono mai avute né l’una né l’altra. Si rischia insomma di finire come quel sindaco di “Caro diario” che non trovando nella sua remota isoletta un posto in cui ospitare l’unico turista, a ogni porta che gli veniva sbattuta in faccia, commentava amareggiato: “Tutto il contrario che ad Amsterdam!”. Da un lato, infatti, il principale partito di governo in Italia si chiamava Democrazia cristiana, e certo non era né si definiva “di destra”; dall’altro, il principale partito di opposizione si chiamava Partito comunista, e dalla sua fondazione nel 1921 fino ai primi anni Ottanta non ha mai detto né pensato di rappresentare “la sinistra”.
Come ricorda Armando Cossutta, tanto per Togliatti quanto per Berlinguer, i comunisti rappresentavano “il movimento operaio”, “i lavoratori”, “le classi subalterne”, “le masse popolari”. Non “la sinistra”. Semmai, come sostiene Andrea Margheri, il dibattito si concentrava sulla domanda se bisognasse dire “classe operaia” o invece “classi lavoratrici”, per non scadere nell’operaismo e nel settarismo. E più o meno lo stesso discorso, almeno fino agli Settanta, valeva pure per i missini.
“Nella ‘Dottrina del fascismo’ di Benito Mussolini – osserva Giano Accame – la parola ‘destra’ compare una sola volta, e tra virgolette”. (“Si può pensare che questo sia il secolo dell’autorità, un secolo di ‘destra’…”, scriveva infatti il Duce in quello che sarebbe diventato il testo fondamentale per generazioni di fascisti e neofascisti). Persino Giorgio Almirante, quando negli anni Settanta aprì le porte del suo partito ai monarchici e cambiò il nome in “Msi-Destra nazionale”, incontrò serie resistenze. E non solo perché il Msi – e lo stesso Almirante – provenivano dal fascismo di Salò, dunque dal cosiddetto “fascismo di sinistra”. Ma anche perché, come ricorda Accame, già allora “le definizioni ‘destra’ e ‘sinistra’ ci apparivano superate”. Secondo un modo di pensare perfettamente speculare a quello dei comunisti, infatti, i missini non si definivano come “la destra”, ma come “un movimento di alternativa sociale e nazionale, di alternativa al sistema”.
A ripensarci oggi, tra tante lamentazioni sulle smarrite identità di destra e di sinistra, viene da sorridere. Eppure è solo negli anni Settanta che quelle definizioni cominciano a imporsi, e spesso come contestazione dei partiti tradizionali. Iniziano a imporsi cioè proprio quando comincia la lunga crisi della Prima Repubblica, per godere poi di un singolare quanto effimero trionfo al momento del suo tramonto, nel biennio terribile di Mani Pulite. Di quegli anni è peraltro la prima edizione del breve e fortunatissimo saggio di Norberto Bobbio intitolato per l’appunto “Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica”, pubblicato da Donzelli nel 1994. Giusto l’anno in cui si chiude Tangentopoli e comincia la stagione berlusconiana.

Nuovo inizio, brutta fine
Tra Berlinguer e Berlusconi c’è però Achille Occhetto, il crollo del comunismo e la fine del Pci. Ed è qui che molte suggestioni della “nuova sinistra” entrano nel lessico di quel partito che Berlinguer aveva definito non molti anni prima come “rivoluzionario e conservatore” (e cioè, almeno secondo le distinzioni classiche della democrazia anglosassone cui si rifaceva Bobbio, tutto meno che “di sinistra”). Del resto, non è un caso che persino al momento di abbandonare la strategia del compromesso storico per la linea dell’alternativa (con i socialisti) Berlinguer insistesse tuttavia nel definirla “alternativa democratica”. Giammai “alternativa di sinistra”.
E’ con la “svolta”, con il “nuovo inizio” e con la “carovana”, a partire dalla convinzione occhettiana che si potesse uscire dal comunismo “da sinistra”, che il termine comincia a riassumere in sé l’identità degli ex comunisti, orfani del comunismo. Ed è così, con la svolta e con il parallelo “sdoganamento della destra”, che all’inizio degli anni Novanta si pongono le basi del bipolarismo e del nuovo sistema. Dunque è solo in quel brevissimo intervallo tra la fine della Prima e l’inizio della Seconda Repubblica, si potrebbe dire, che in Italia la sinistra si chiama “sinistra” e la destra si chiama “destra”. Insomma, a ripercorrere tutto il dibattito sull’identità e il futuro della sinistra in ordine cronologico, si può quasi sostenere che la sinistra italiana sia un prodotto della sua crisi.
Può anche darsi, naturalmente, che un simile paradosso abbia una spiegazione semplicissima. Che si tratti soltanto di un gioco di parole. “Prima della Seconda Repubblica avevamo una nomenclatura politica molto più perspicua di questa banale dicotomia destra-sinistra, che significa assai poco, come dimostra il fatto che il popolo continua a dire sempre i comunisti, i democristiani, i fascisti…”, sostiene ad esempio Giuseppe Vacca. “Del resto – aggiunge il presidente dell’Istituto Gramsci tra il serio e il faceto – io stesso non so mica se sono di destra o di sinistra. So che sono un vecchio comunista togliattiano e gramsciano”.

Postcomunisti, postfascisti e posticci
D’altronde, come sostiene Roberto Gualtieri, che dell’Istituto Gramsci è vicedirettore, “tutti i movimenti politici degni di questo nome si sono sempre definiti a partire da chi rappresentavano e da cosa volevano, non sulla base di categorie politologiche, e non politiche, come destra e sinistra”. Non si tratta solo delle grandi famiglie ideologiche che hanno ispirato in tutto il mondo la nascita di partiti comunisti, fascisti, liberali o socialisti. “Basta pensare a laburisti e conservatori in Gran Bretagna, democratici e repubblicani negli Stati Uniti, socialdemocratici e cristianodemocratici in Germania”. E l’eccezione rappresentata da ‘Die Linke’ (“la sinistra”) non farebbe che confermare la regola, trattandosi di un partito nato in tempi recenti dalla confluenza tra l’ala sinistra della Spd e gli ex comunisti della Germania Est. In tutto il mondo, insomma, il ritorno della “sinistra” – non la sua scomparsa – sarebbe dunque un segno della sua crisi (o se si preferisce, della crisi dei suoi partiti tradizionali). “Tanto è vero – prosegue Gualtieri – che il Pci sceglie di chiamarsi ‘Partito democratico della sinistra’ proprio perché non vuole chiamarsi socialista né laburista”. Nel tentativo di preservare la propria “specificità”, il Pds finisce così per autorelegarsi in un limbo – quello postcomunista – da cui impiegherà anni, e molte sconfitte, a uscire. “Quella scelta è stata la più drammatica ammissione di assenza di idee e vaghezza di propositi: non si sapeva cosa si voleva essere, e dunque, per non dirsi né comunisti né socialdemocratici, ci si disse ‘della sinistra’ e basta”.
Resta il fatto che in Italia si è parlato di destra e sinistra dall’Unità fino alle soglie della Prima guerra mondiale. “Ma allora – osserva Gualtieri – quelle definizioni non distinguevano due veri partiti. Esprimevano soltanto un’articolazione interna alla classe dirigente liberale, che sarebbe venuta meno molto presto”. E cioè con l’ingresso nella vita politica e in Parlamento dei partiti popolari socialista e cattolico. Dunque non è così illogico che con il crollo del comunismo e la “morte delle ideologie”, quando tutti cominciano (o ricominciano) a dirsi liberali, tornino in campo le definizioni di destra e sinistra (e che a spingerle avanti sia un filosofo liberale e azionista come Bobbio). Ed è non meno significativo che a rispolverare quei termini, così poco amati dai partiti di origine, siano proprio le formazioni radicali che ne rivendicano l’eredità: “la Destra” di Francesco Storace e “la Sinistra, l’Arcobaleno” di Fausto Bertinotti (cui si richiama oggi, salvando perfettamente la simmetria dell’accostamento, il nascente “la Sinistra” di Nichi Vendola).
Date le premesse, non stupisce che il punto di vista dello storico Alessandro Campi, direttore della fondazione finiana FareFuturo, sia molto simile a quello dei suoi colleghi gramsciani. Anche per Campi, infatti, tutto comincia con la Seconda Repubblica. “Invece di metabolizzare in chiave storica la nostra tradizione politico-culturale – sostiene – abbiamo preferito liquidarla. Ed è iniziato un gioco spaventoso di rimozione: tutti si sono ricostruiti le proprie biografie immaginarie. E nell’ansia di ripartire da zero, si sono presentati con identità posticce. Di qui l’ossessiva ricerca di modelli esteri, da Aznar a Sarkozy, da Zapatero a Obama, per colmare il vuoto di idee e di progetti”. Fatica sprecata, oltretutto, perché “i modelli politici e gli stessi termini destra e sinistra significano sempre cose diverse, sulla base, per l’appunto, della storia nazionale”.
Dunque non è vero che destra e sinistra non significhino più nulla, come si usa dire nei libri e negli articoli sulla crisi dell’una o dell’altra. Restano però concetti relativi, quali sono stati sin dalla nascita, alla convenzione rivoluzionaria francese, dove furono coniati per designare semplicemente chi sedeva da un lato e chi dall’altro rispetto al presidente. “E perciò – fa notare Accame – i termini sono anche rovesciati”. La destra sta a sinistra, la sinistra a destra. Come dire che la crisi d’identità, la confusione, la perdita di significato che spesso si lamenta, in verità, è scritta nell’origine stessa di quelle parole.

La fine della Storia
Il problema dell’Italia di oggi, secondo Campi, è che ormai “tutti hanno rinnegato tutto”. E sono rimasti senza niente. “Il Pdl ambisce a essere una sorta di franchising del Ppe, che però a sua volta non esiste, non è che un contenitore. E lo stesso discorso varrebbe per il Pd con il Pse, ma con l’aggravante che per le sue divisioni interne non riesce nemmeno a raggiungere questo obiettivo minimo”. Ma forse non è nemmeno qui il punto. Certo è che dalla fine della Prima Repubblica a oggi tutti i partiti hanno preso a rivendicare al tempo stesso la propria radicale novità e la propria fortissima identità, come se fosse concepibile un’identità senza un passato. Nel Partito democratico alcuni sono arrivati persino a parlare di “un’identità declinata al futuro”. Ma sono casi-limite. E forse il cuore del problema, più che nei diversi partiti, sta proprio in quel lungo scaffale sulla crisi della sinistra di cui parlava Serra.
Il libro di Barenghi si conclude evocando “un’idea, che se non fosse diventata, chissà perché, una parolaccia, la definirei anche un’ideologia. Ossia una filosofia politica capace di ridare un senso alla sinistra del secondo millennio”. Il libro di Brancoli si chiude con una citazione di Massimo D’Alema sul rischio che la sinistra divenga in Italia una “minoranza strutturale”. E con una citazione dalemiana si chiude anche il libro di Berselli: “La sinistra è un male. Solo l’esistenza della destra rende questo male sopportabile”.
Ma che sia priva di idee, a rischio estinzione o semplicemente “un male”, comunque sempre e perpetuamente in crisi, praticamente dalla nascita, la sinistra resta tuttavia ancora là, proprio come la destra. Poi le si chiami come si vuole. A pensarci bene, la sinistra è in crisi più o meno da quando l’Italia è “in transizione”. Ma una transizione lunga tre decenni non è una transizione, e lo stesso si può dire delle crisi d’identità (ma della crisi d’identità dell’Italia parliamo un’altra volta).
Forse però si può dire anche per la sinistra quello che lo storico Giuliano Procacci, recentemente scomparso, scriveva nella sua “Storia degli italiani” a proposito dell’Italia. “Un luogo comune spesso ripetuto, per lo più da italiani – scriveva Procacci – è che l’Italia è il paese di Pulcinella. Ma Pulcinella non è, come sappiamo, soltanto un guitto, ma un personaggio, una ‘maschera’ di grande spessore e verità umana, che, come il suo confratello cinese AH Q, ha molto vissuto, molto visto e molto sofferto. A differenza però di AH Q, Pulcinella non muore mai, perché egli sa che tutto può accadere nella storia. Anche che la sua antica fame venga un giorno saziata”. Chissà.

Francesco Cundari, Il Foglio

Tuesday, October 28, 2008

I wunderkinder

Goffredo Bettini ha detto ieri al Riformista che nel PD ci sono “decine di ragazzi e ragazze straordinari, gente fresca e appassionata che sta facendo la gavetta e non va fatta invecchiare mentre prosegue un dibattito interno che ha gli stessi protagonisti da quasi vent’anni”. A parte il quasi, mi pare che l’analisi sia interamente condivisibile. Con una sola, decisiva, precisazione.
A queste decine di ragazzi non va dato spazio: se lo devono prendere. Altrimenti va a finire che la palingenesi si trasforma nel solito lifting: quattro giovanotti cooptati in Direzione, ciascuno incatenato mani e piedi al suo senior di riferimento.
E’ questa la logica che Giulia Innocenzi ha spezzato con la sua coraggiosa candidatura alla guida dei giovani del PD. Ed è questo anche il ragionamento che sta alla base della candidatura di Matteo Renzi alle primarie di Firenze.
Renzi è un enfant prodige della politica italiana. A 29 anni è stato eletto Presidente della Provincia di Firenze. Per quattro anni ha lavorato con serietà e competenza, aggregando intorno a se un gruppo di ragazzi di quelli che piacciono a Bettini. Avrebbe potuto prendere il numeretto e mettersi in coda come tanti altri. Aspettare che l’apparato decidesse che era arrivato il suo turno. Nel frattempo, in Provincia non si sta mica tanto male: la sede è Palazzo Medici-Riccardi, costruito da Cosimo il Vecchio e affrescato da Benozzo Gozzoli...
Renzi, pero’, ha fatto una scelta diversa. Contro il parere di tutti i suoi padrini – perfino di quelli che gli vogliono bene – ha deciso di candidarsi. O la va o la spacca. Se la spacca, in fondo, non c’è solo la politica. Si puo’ anche tornare nel privato (dove, almeno in teoria, si guadagna meglio e ci si stressa di meno).
La partita è tutt’altro che scontata. In corsa contro Renzi ci sono diversi pesi massimi. Ne ha dato conto l’Espresso di questa settimana: innanzitutto c’è Graziano Cioni, assessore della giunta Domenici, “da vent’anni deus ex-machina di Palazzo Vecchio”; poi c’è Daniela Lastri, “dalemiana o almeno legata a Livia Turco, che strizza l’occhio a sinistra”.
Infine c’è il responsabile esteri del PD nazionale, Lapo Pistelli. Una candidatura qualificata e innovativa, che ha l’unico difetto di provenire dall’alto, più che dal territorio.
Renzi ha aperto la sua campagna con una mega-adunata al Palasport che ha fatto storcere la bocca a molti. Millecinquecento persone, il palco da convention d’oltreoceano, i flash dei fotografi: ma chi si crede di essere? Un berluschino di sinistra? L’Obama del Lungarno?
Ogni volta che qualcuno rompe le uova nel paniere dei numeretti da farmacia, viene accusato di alto tradimento. “Le primarie servono a lanciare il candidato sindaco – ha detto sempre all’Espresso un anonimo boss locale – se uno la spunta per mille voti è una catastrofe!”. E perché mai, di grazia?
Possibile che il PD sia sempre alla ricerca di percentuali bulgare? Negli Stati Uniti, la competizione forsennata tra Hillary Clinton e Obama ha fatto crescere a dismisura la partecipazione popolare alle primarie democratiche. Non era mai capitato che a votare andassero cosi tante persone, under 30 in primis.
Al di là delle loro qualità specifiche, il pregio degli outsider è che alzano il livello della competizione. Costringono anche i notabili a rimettersi in discussione. Sollevano temi che, altrimenti, sarebbero rimasti nell’ombra. E’ di questo cha ha bisogno il PD del post-Circo Massimo. Di un confronto a tutto campo che faccia a pezzi i tabù del passato: il più fragorosamente possibile.
La verità è che ci sono due modi di attraversare il deserto. Il primo è quello classico della sinistra italiana: il bagno di purezza, il ritorno alle radici. In questo caso si abbassa il palco verso la piazza (come ha osservato Filippo Ceccarelli a proposito del Circo Massimo), ci si rifugia nell’unanimismo e si chiede alla base di perdonare i peccati di realismo compiuti mentre si stava al governo.
In questo caso, i Renzi e le Innocenzi non servono a nulla. Sono dei rompiballe che rischiano di spezzare l’incantesimo della ritrovata compattezza anti-berlusconiana, anti-fascista, anti-razzista e chi più ne ha più ne metta.
L’alternativa è quella di impiegare gli anni dell’opposizione per abbattere gli idoli che hanno fatto del centro-sinistra una minoranza strutturale nel Paese e una razza in via d’estinzione nelle sue regioni più ricche e dinamiche.
Se si decide di seguire questa strada, servono altri mille Renzi e altre mille Innocenzi. E serve che i wunderkinder individuati da Bettini smettano di aspettare il loro turno e comincino a farsi avanti senza aspettare il cartoncino d’invito.

Giuliano Da Empoli