Goffredo Bettini ha detto ieri al Riformista che nel PD ci sono “decine di ragazzi e ragazze straordinari, gente fresca e appassionata che sta facendo la gavetta e non va fatta invecchiare mentre prosegue un dibattito interno che ha gli stessi protagonisti da quasi vent’anni”. A parte il quasi, mi pare che l’analisi sia interamente condivisibile. Con una sola, decisiva, precisazione.
A queste decine di ragazzi non va dato spazio: se lo devono prendere. Altrimenti va a finire che la palingenesi si trasforma nel solito lifting: quattro giovanotti cooptati in Direzione, ciascuno incatenato mani e piedi al suo senior di riferimento.
E’ questa la logica che Giulia Innocenzi ha spezzato con la sua coraggiosa candidatura alla guida dei giovani del PD. Ed è questo anche il ragionamento che sta alla base della candidatura di Matteo Renzi alle primarie di Firenze.
Renzi è un enfant prodige della politica italiana. A 29 anni è stato eletto Presidente della Provincia di Firenze. Per quattro anni ha lavorato con serietà e competenza, aggregando intorno a se un gruppo di ragazzi di quelli che piacciono a Bettini. Avrebbe potuto prendere il numeretto e mettersi in coda come tanti altri. Aspettare che l’apparato decidesse che era arrivato il suo turno. Nel frattempo, in Provincia non si sta mica tanto male: la sede è Palazzo Medici-Riccardi, costruito da Cosimo il Vecchio e affrescato da Benozzo Gozzoli...
Renzi, pero’, ha fatto una scelta diversa. Contro il parere di tutti i suoi padrini – perfino di quelli che gli vogliono bene – ha deciso di candidarsi. O la va o la spacca. Se la spacca, in fondo, non c’è solo la politica. Si puo’ anche tornare nel privato (dove, almeno in teoria, si guadagna meglio e ci si stressa di meno).
La partita è tutt’altro che scontata. In corsa contro Renzi ci sono diversi pesi massimi. Ne ha dato conto l’Espresso di questa settimana: innanzitutto c’è Graziano Cioni, assessore della giunta Domenici, “da vent’anni deus ex-machina di Palazzo Vecchio”; poi c’è Daniela Lastri, “dalemiana o almeno legata a Livia Turco, che strizza l’occhio a sinistra”.
Infine c’è il responsabile esteri del PD nazionale, Lapo Pistelli. Una candidatura qualificata e innovativa, che ha l’unico difetto di provenire dall’alto, più che dal territorio.
Renzi ha aperto la sua campagna con una mega-adunata al Palasport che ha fatto storcere la bocca a molti. Millecinquecento persone, il palco da convention d’oltreoceano, i flash dei fotografi: ma chi si crede di essere? Un berluschino di sinistra? L’Obama del Lungarno?
Ogni volta che qualcuno rompe le uova nel paniere dei numeretti da farmacia, viene accusato di alto tradimento. “Le primarie servono a lanciare il candidato sindaco – ha detto sempre all’Espresso un anonimo boss locale – se uno la spunta per mille voti è una catastrofe!”. E perché mai, di grazia?
Possibile che il PD sia sempre alla ricerca di percentuali bulgare? Negli Stati Uniti, la competizione forsennata tra Hillary Clinton e Obama ha fatto crescere a dismisura la partecipazione popolare alle primarie democratiche. Non era mai capitato che a votare andassero cosi tante persone, under 30 in primis.
Al di là delle loro qualità specifiche, il pregio degli outsider è che alzano il livello della competizione. Costringono anche i notabili a rimettersi in discussione. Sollevano temi che, altrimenti, sarebbero rimasti nell’ombra. E’ di questo cha ha bisogno il PD del post-Circo Massimo. Di un confronto a tutto campo che faccia a pezzi i tabù del passato: il più fragorosamente possibile.
La verità è che ci sono due modi di attraversare il deserto. Il primo è quello classico della sinistra italiana: il bagno di purezza, il ritorno alle radici. In questo caso si abbassa il palco verso la piazza (come ha osservato Filippo Ceccarelli a proposito del Circo Massimo), ci si rifugia nell’unanimismo e si chiede alla base di perdonare i peccati di realismo compiuti mentre si stava al governo.
In questo caso, i Renzi e le Innocenzi non servono a nulla. Sono dei rompiballe che rischiano di spezzare l’incantesimo della ritrovata compattezza anti-berlusconiana, anti-fascista, anti-razzista e chi più ne ha più ne metta.
L’alternativa è quella di impiegare gli anni dell’opposizione per abbattere gli idoli che hanno fatto del centro-sinistra una minoranza strutturale nel Paese e una razza in via d’estinzione nelle sue regioni più ricche e dinamiche.
Se si decide di seguire questa strada, servono altri mille Renzi e altre mille Innocenzi. E serve che i wunderkinder individuati da Bettini smettano di aspettare il loro turno e comincino a farsi avanti senza aspettare il cartoncino d’invito.
A queste decine di ragazzi non va dato spazio: se lo devono prendere. Altrimenti va a finire che la palingenesi si trasforma nel solito lifting: quattro giovanotti cooptati in Direzione, ciascuno incatenato mani e piedi al suo senior di riferimento.
E’ questa la logica che Giulia Innocenzi ha spezzato con la sua coraggiosa candidatura alla guida dei giovani del PD. Ed è questo anche il ragionamento che sta alla base della candidatura di Matteo Renzi alle primarie di Firenze.
Renzi è un enfant prodige della politica italiana. A 29 anni è stato eletto Presidente della Provincia di Firenze. Per quattro anni ha lavorato con serietà e competenza, aggregando intorno a se un gruppo di ragazzi di quelli che piacciono a Bettini. Avrebbe potuto prendere il numeretto e mettersi in coda come tanti altri. Aspettare che l’apparato decidesse che era arrivato il suo turno. Nel frattempo, in Provincia non si sta mica tanto male: la sede è Palazzo Medici-Riccardi, costruito da Cosimo il Vecchio e affrescato da Benozzo Gozzoli...
Renzi, pero’, ha fatto una scelta diversa. Contro il parere di tutti i suoi padrini – perfino di quelli che gli vogliono bene – ha deciso di candidarsi. O la va o la spacca. Se la spacca, in fondo, non c’è solo la politica. Si puo’ anche tornare nel privato (dove, almeno in teoria, si guadagna meglio e ci si stressa di meno).
La partita è tutt’altro che scontata. In corsa contro Renzi ci sono diversi pesi massimi. Ne ha dato conto l’Espresso di questa settimana: innanzitutto c’è Graziano Cioni, assessore della giunta Domenici, “da vent’anni deus ex-machina di Palazzo Vecchio”; poi c’è Daniela Lastri, “dalemiana o almeno legata a Livia Turco, che strizza l’occhio a sinistra”.
Infine c’è il responsabile esteri del PD nazionale, Lapo Pistelli. Una candidatura qualificata e innovativa, che ha l’unico difetto di provenire dall’alto, più che dal territorio.
Renzi ha aperto la sua campagna con una mega-adunata al Palasport che ha fatto storcere la bocca a molti. Millecinquecento persone, il palco da convention d’oltreoceano, i flash dei fotografi: ma chi si crede di essere? Un berluschino di sinistra? L’Obama del Lungarno?
Ogni volta che qualcuno rompe le uova nel paniere dei numeretti da farmacia, viene accusato di alto tradimento. “Le primarie servono a lanciare il candidato sindaco – ha detto sempre all’Espresso un anonimo boss locale – se uno la spunta per mille voti è una catastrofe!”. E perché mai, di grazia?
Possibile che il PD sia sempre alla ricerca di percentuali bulgare? Negli Stati Uniti, la competizione forsennata tra Hillary Clinton e Obama ha fatto crescere a dismisura la partecipazione popolare alle primarie democratiche. Non era mai capitato che a votare andassero cosi tante persone, under 30 in primis.
Al di là delle loro qualità specifiche, il pregio degli outsider è che alzano il livello della competizione. Costringono anche i notabili a rimettersi in discussione. Sollevano temi che, altrimenti, sarebbero rimasti nell’ombra. E’ di questo cha ha bisogno il PD del post-Circo Massimo. Di un confronto a tutto campo che faccia a pezzi i tabù del passato: il più fragorosamente possibile.
La verità è che ci sono due modi di attraversare il deserto. Il primo è quello classico della sinistra italiana: il bagno di purezza, il ritorno alle radici. In questo caso si abbassa il palco verso la piazza (come ha osservato Filippo Ceccarelli a proposito del Circo Massimo), ci si rifugia nell’unanimismo e si chiede alla base di perdonare i peccati di realismo compiuti mentre si stava al governo.
In questo caso, i Renzi e le Innocenzi non servono a nulla. Sono dei rompiballe che rischiano di spezzare l’incantesimo della ritrovata compattezza anti-berlusconiana, anti-fascista, anti-razzista e chi più ne ha più ne metta.
L’alternativa è quella di impiegare gli anni dell’opposizione per abbattere gli idoli che hanno fatto del centro-sinistra una minoranza strutturale nel Paese e una razza in via d’estinzione nelle sue regioni più ricche e dinamiche.
Se si decide di seguire questa strada, servono altri mille Renzi e altre mille Innocenzi. E serve che i wunderkinder individuati da Bettini smettano di aspettare il loro turno e comincino a farsi avanti senza aspettare il cartoncino d’invito.
Giuliano Da Empoli